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Toghe patetiche, la libertà non ha prezzo

Per le toghe lo slogan di lotta è diventato: "Guai a chi tocca lo stipendio". E si mettono di traverso ai tagli del governo

Toghe patetiche, la libertà non ha prezzo

di La libertà ha un prezzo: quello delle toghe è alto anche in tempo di crisi. E allora lo slogan di lotta diventa: «Guai a chi tocca lo stipendio». Perché l'euro è sinonimo di autonomia e distanza dai poteri forti. Dovrebbe valere per tutte le professioni, intanto i giudici applicano il principio a loro stessi. E si mettono di traverso al governo. L'Associazione nazionale magistrati contro Matteo Renzi. L'idillio è finito, almeno per quel che riguarda le toghe. Fabio Roia, voce storica della magistratura milanese, leader dei centristi di Unicost ed ex componente del Csm, si prepara ad un futuro insidioso: «Per ora il taglio riguarda pochissime figure, ma so che il governo sta studiando un modo per colpire le nostre retribuzioni». Ci aveva già provato Mario Monti, sfortunato pure su questo lato, introducendo il contributo di solidarietà, tolto a picconate dalla Corte costituzionale nel 2012. Ora Renzi fissa il tetto dei superdirigenti pubblici a quota 240mila euro e il primo presidente della Cassazione deve adeguarsi abbassando l'asticella del privilegio dagli attuali 311mila euro. Con un danno di 71mila euro. «Venerdì - prosegue Roia - nell'imminenza del provvedimento del governo eravamo pronti a farci sentire. Se avessero toccato con le forbici i nostri stipendi saremmo scesi in strada per incontrare la gente e spiegare che i nostri redditi non sono affatto quelli di cui si favoleggia». La stragrande maggioranza della corporazione incassa, secondo Stefano Dambruoso, ex pm dell'antiterrorismo e oggi questore della Camera, una cifra che oscilla fra gli 80 e i 110mila euro lordi l'anno. Il tetto, vecchio o nuovo che sia, i più lo vedono col binocolo anche a fine carriera.
E però l'aria che tira nel Paese, con la disoccupazione, la povertà e i tanti che tirano la cinghia, qualcosa vorrà pur dire. Niente. I giudici a fare un passo indietro non ci pensano proprio: sfornano proclami e comunicati per ribadire che il portafoglio pieno è garanzia di indipendenza e sinonimo di un buon servizio. Concetto autoreferenziale e impopolare, ma questa è la linea del Piave. Come del resto ha certificato, nello sconcerto del Paese, la Consulta. Riprende Roia: «Vorrei essere chiaro: non è che adesso non diciamo a Renzi quel che secondo noi non va e che invece contestavamo con forza a Berlusconi». Quel che Roia e tanti suoi collegi non hanno digerito è in realtà la frase cartavetrata del premier a proposito della separazione dei poteri: «Mi aspetto che i giudici non commentino il processo di formazione delle leggi che li riguardano. E soprattutto non le indiscrezioni». Controreplica secca: «Noi valutiamo, discutiamo, critichiamo e diamo il nostro contributo». È presto per parlare di opposizione ma nel clima mieloso di renzismo imperante, con i professoroni alla Zagrebelsky alle corde, le vecchie icone della sinistra chiuse in un angolo e le Camusso in difficoltà, potrebbe essere proprio il partito dei giudici ad alzare la voce contro un governo che qualcuno comincia a etichettare con un aggettivo pesantissimo: fascisteggiante. Peggio, per dirla tutta, dei non rimpianti esecutivi guidati dal Cavaliere. E nei corridoi del Palazzo di giustizia di Milano, il tempio di Mani pulite e delle incursioni nel berlusconismo, circolano battute al vetriolo: «Ma quando arriverà il primo avviso di garanzia a Renzi?»
Se si pensa che il premier ha annunciato per i prossimi mesi anche la riforma della giustizia, allora è facile immaginare un cammino a ostacoli per Renzi.
Per ora siamo ai preliminari. «Se il problema - afferma l'ex guardasigilli Francesco Nitto Palma - è tagliare lo stipendio del primo presidente della Cassazione credo si possa tranquillamente fare». Ma poi pure lui, oggi presidente della Commissione giustizia del Senato, mette le mani avanti, sia pure con qualche contorsione: «La magistratura ordinaria non deve essere penalizzata ma direi comunque ai miei ex colleghi di tenere presente che ci sono tanti italiani che soffrono e non sanno come arrivare a fine mese». Nei tribunali di mezza Italia, a cominciare da quello di Milano, la pensano diversamente. E si attrezzano.

Sarà guerra o guerriglia, ma qualcosa sarà.

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