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Trattativa Stato-mafia, Consulta: "Distruggere le intercettazioni dannose per il capo dello Stato"

Diffuse le motivazioni della Consulta: "Dovere dei giudici evitare il vulnus della riservatezza". Le telefonate tra Napolitano e Mancino verranno distrutte

Trattativa Stato-mafia, Consulta: "Distruggere le intercettazioni dannose per il capo dello Stato"

"Distruggere nel più breve tempo le registrazioni casualmente effettuate di conversazioni telefoniche del presidente della Repubblica". Questa la "soluzione" indicata dalla Corte Costituzionale nella sentenza sul conflitto sollevato dal Quirinale nei confronti della procura di Palermo. Questa mattina sono state, infatti, depositate le motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 4 dicembre, la Consulta accolse il conflitto sulle telefonate tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l'allora ministro dell'Interno Nicola Mancino, disposte nell’ambito dell’indagine sulla presunta trattativa tra lo Stato e la mafia. "La diffusione del contenuto dei colloqui - ha evidenziato la Consulta - sarebbe estremamente dannosa non solo per la figura e per le funzioni del capo dello Stato, ma anche, e soprattutto, per il sistema costituzionale complessivo".

Nella sentenza della Corte Costituzionale, che è lunga 49 pagine, si dispone che la distruzione avvenga sotto il controllo del giudice, "non essendo ammissibile, nè richiesto dallo stesso ricorrente, che alla distruzione proceda unilateralmente il pubblico ministero". Un controllo teso a garantire la legalità con riguardo, in primis, "all'effettiva riferibilità delle conversazioni intercettate al capo dello Stato, e, quindi, più in generale, quanto alla loro inutilizzabilità, in forza alle norme costituzionali e ordinarie". Secondo la Consulta, infatti il presidente della Repubblica deve poter "contare sulla riservatezza assoluta delle proprie comunicazioni", non soltanto in rapporto a una specifica funzione. Le funzioni che "implicano decisioni molto incisive" e "si concretizzano in solenni atti formali" (come lo scioglimento anticipato delle assemblee legislative) presuppongono che "il presidente intrattenga, nel periodo che precede l’assunzione della decisione, intensi contatti con le forze politiche rappresentate in parlamento e con altri soggetti, esponenti della società civile e delle istituzioni, allo scopo di valutare tutte le alternative costituzionalmente possibili, sia per consentire alla legislatura di giungere alla sua naturale scadenza, sia per troncare, con l’appello agli elettori, situazioni di stallo e di ingovernabilità". La diffusione di tali colloqui, nel corso dei quali "ciascuno degli interlocutori può esprimere apprezzamenti non definitivi e valutazioni di parte su persone e formazioni politiche", causerebbe un danno al sistema che "dovrebbe sopportare le conseguenze dell’acuirsi delle contrapposizioni e degli scontri".

Insomma, a detta della Corte Costituzionale, rientra nei doveri dei giudici - soggetti alla legge e, quindi, in primo luogo, alla Costituzione - evitare che "la tutela costituzionale delle conversazioni del capo dello Stato venga "compromessa" e non portare a "ulteriori conseguenze la lesione involontariamente recata alla sfera di riservatezza costituzionalmente protetta".

"Già la semplice rivelazione ai mezzi di informazione dell’esistenza delle registrazioni - conclude la sentenza - costituisce un vulnus che deve essere evitato".

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