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Tre sì al ddl anti corruzione Via libera all'incandidabilità ma è scontro sull'attuazione

Passa l'articolo 10: chi è stato condannato in via definitiva non potrà più essere candidato. Il Fli: "Sia in vigore già dal 2013". La Severino: "Accelereremo"

Tre sì al ddl anti corruzione Via libera all'incandidabilità ma è scontro sull'attuazione

Tre fiducie per dare il via libera al ddl anti corruzione. Dall'impossibilità di fare contratti con enti pubblici per chi è condannato in via definitiva per reati contro la pubblica amministrazione all'aumento delle pene per il reato di corruzione.

L’impossibilità di arrivare a un'intesa nella maggioranza sul ddl anti corruzione ha spinto il governo a chiedere non un solo voto di fiducia, ma tre. "Il provvedimento ha avuto una lunga fase di dialogo nelle commissioni riunite", ha spiegato il ministro della Giustizia Paola Severino ricordando che c'è stato un dibattito molto ampio. "Il rispetto per il Parlamento c'è stato tutto e finchè è stato possibile andare avanti con il dialogo, senza che ci fossero nette contrapposizioni politiche, ho cercato di farlo", ha concluso il Guardasigilli sottolineando che la fiducia è arrivata come "unico strumento per portare avanti il provvedimento che tutti giudicano importante. Un mezzo anche costruttivo".

Il primo via libera della Camera ha incassato 461 voto favorevoli, 75 contrari e sette astenuti: chi è stato condannato in via definitiva non potrà più essere candidato. Il Pdl, i democratici e l'Udc hanno votato a favore dell'articolo 10 del disegno di legge, mentre l’Idv e il Carroccio si sono schierati contro. Come annunciato nelle dichiarazioni di voto i finiani non ha partecipato al voto. "La non candidabilità per le condanne in via definitiva entri in vigore da oggi, già quindi per le elezioni del 2013, non può essere una cosa in vigore dal 2018", ha spiegato il futurista Bendetto Della Vedova. "Il tempo di un anno previsto nell’articolo 10 del ddl anticorruzione è il termine massimo - ha commentato la Severino - cercheremo di accelerare al massimo e di legiferare sull’incandidabilità dei condannati entro il 2013".

A Montecitorio il secondo via libera ha incassato 431 voti favorevoli, 71 contrari e 38 astenuti. Viene così approvato l’articolo 13 del provvedimento che definisce nuovi reati, come quelli di concussione per induzione e traffico di influenze illecite. Le nuove norme prevedono che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che abusi della sua funzione o dei suoi poteri, inducendo a dare o a promettere indebitamente allo stesso pubblico ufficiale o ad una terza persona denaro o altra utilità è punito con la reclusione da 3 a 8 anni. Per quel che riguarda il traffico di influenze illecite le nuove norme stabiliscono che chiunque, fuori dai casi di concorso in altri reati, "sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita, ovvero per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio", sia punito con la reclusione da uno a 3 anni. Identica pena è prevista per chi dia o prometta denaro o altri vantaggi di carattere patrimoniale. La pena viene aumentata nel caso in cui chi indebitamente fa dare o promettere denaro o altri vantaggi patrimoniali ha la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio. Le pene sono ulteriormente aumentate nel caso in cui i fatti siano commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie.

La terza ed ultima delle fiducie poste a Montecitorio dal governo sul ddl anticorruzione è passata con 430 voti a favore, 70 contrari e 25 astenuti. L’articolo 14 introduce nell’ordinamento italiano il reato di corruzione tra privati. Il che significa che i vertici di una società che in cambio di denaro o di altre utilità per loro o per altri compiano od omettano atti in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio o di quelli di fedeltà, cagionando un danno alla società stessa, rischiano il carcere da 1 a 3 anni. La pena della reclusione fino a 1 anno e 6 mesi si applica anche se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti ai vertici delle società. Analoga condanna rischia chi dà o promette denaro o altra utilità a questi stessi soggetti.

Le pene raddoppiano se si tratta di società quotate in Borsa, nei mercati italiani o europei, o con titoli diffusi tra il pubblico "in misura rilevante".

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