Quirinale 2013

Berlusconi vede l'ex senatore: è lui la soluzione migliore

L'ordine ai suoi: "Non fate mancare nemmeno un voto, non è detto che Marini sia eletto subito. Noi manterremo l'impegno, ma se Bersani non lo fa si deve dimettere"

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con Silvio Berlusconi
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con Silvio Berlusconi

L'ultimo precedente conosciuto risale al gennaio 2006, quando Silvio Berlusconi lasciò Palazzo Grazioli quasi di soppiatto e senza i consueti van della scorta al seguito così da seminare i giornalisti e potersi presentare in gran segreto dai magistrati romani che lo volevano ascoltare in qualità di testimone sulla scalata di Unipol alla Bnl. Ieri, verso le dieci di mattina, la stessa scena. Con il Cavaliere che lascia via del Plebiscito in compagnia del solo Gianni Letta e con la sua scorta che resta invece a Grazioli, così da mimetizzare i movimenti dell'ex premier. Per Berlusconi tre ore di black out totale, con i giornalisti a cercarlo per mezza Roma mentre lui – si scoprirà più tardi – incontra i «papabili» al Quirinale: certamente Giuliano Amato e Franco Marini, dicono i rumors; molto probabilmente anche Massimo D'Alema. E un faccia a faccia – nonostante le smentite che arrivano dai rispettivi entourage – ci sarebbe stato anche con Pier Luigi Bersani. Di certo ripetute telefonate.
È così che dalle prime ore della mattina si va concretizzando l'accordo per un nome condiviso sul Colle. Con il Pd che avrebbe proposto una rosa «allargata» con Amato, D'Alema e Marini, ma anche con Anna Finocchiaro e Sergio Mattarella. Berlusconi, avesse potuto scegliere al netto dei condizionamenti, avrebbe forse preferito uno dei primi due, ma sa bene il Cavaliere che il problema non è la compattezza del Pdl quanto quella del Pd. Ed è questo che dice a Bersani, visto che tutto vuole Berlusconi fuorché arrivare alla quarta votazione quando – con la maggioranza semplice – le chanches di un candidato non gradito come Romano Prodi salirebbero di molto. Ecco perché è l'ex premier a chiedere a Bersani di fargli un nome sul quale può garantire la compattezza del Pd, perché – ripete ai suoi Berlusconi nel corso della giornata – sono loro che hanno il problema di restare uniti.
E il nome è quello di Marini, visto che su Amato c'è il veto di Sel (oltre che della Lega) e di quella parte del Pd che non lo vede di buon grado mentre D'Alema non pare convinca troppo Bersani oltre ad essere difficilmente digeribile per l'elettorato di centrodestra. Nel senso che votare l'ex segretario del Pds al Colle avrebbe chiaramente avuto un costo elettorale da pagare per Berlusconi, cosa che il Cav preferisce evitare in un momento in cui l'ipotesi urne resta ancora in piedi. Insomma, alla fine Marini va bene perché, spiegherà a sera durante l'incontro con i gruppi parlamentari del Pdl, «pur non essendo di centrodestra si è sempre dimostrato super partes». Quindi, dice ai suoi parlamentari, «votate compatti fin dalla prima votazione e non fate mancare nemmeno un voto». «E mi raccomando – aggiunge – scrivete Franco e non Francesco, è importante».
Una trattativa, quella tra Berlusconi e Bersani, lunga e complessa. Nella quale pare abbia avuto un ruolo centrale non solo Letta senior (che Marini lo conosce bene da tempo) ma pure il nipote Enrico. Anche se sarebbe stato Gianni il grimaldello dell'intesa, tanto che qualcuno ipotizza per l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio di Berlusconi il ruolo di segretario generale del Quirinale. Un accordo che alla fine viene blindato al punto di metterlo nero su bianco nelle rispettive riunioni dei gruppi parlamentari, rinviate fino a tarda sera. Bersani e il Cavaliere sono d'accordo: il segretario del Pd ufficializzerà Marini davanti ai deputati e senatori democratici e Berlusconi darà il suo assenso qualche minuto dopo di fronte ai parlamentari del Pdl. Va così e tra le otto e mezza e le nove di sera l'accordo è di fatto chiuso visto che ormai, Marini è il candidato ufficiale del Pd e se davvero dovesse saltare vittima dei franchi tiratori per Bersani la sconfitta sarebbe clamorosa.

«Noi saremo di parola e rispetteremo l'impegno preso, ma – ragiona Berlusconi con i suoi – se il Pd dovesse impallinare Marini Bersani non potrebbe che dimettersi».

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