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Ultimatum dei ministri Pdl: subito mano alla giustizia

Berlusconi deluso da Letta: da lui mi aspettavo un comportamento diverso. Lo sfogo al summit coi big: "Il Pd nella Giunta del Senato cambia maggioranza"

Ultimatum dei ministri Pdl: subito mano alla giustizia

Restano le dimissioni di tutti i parlamentari del Pdl, congelate fino a quando venerdì prossimo la Giunta delle elezioni del Senato non voterà sulla decadenza di Berlusconi. Non lasciano, invece, i ministri del Pdl che chiedono ad Enrico Letta che la questione giustizia faccia parte del «chiarimento» e quindi del discorso con cui la prossima settimana il premier tornerà a chiedere la fiducia delle Camere.
Linea dura, insomma. Anche se con una fondamentale accortezza. «Non saremmo noi a togliere la fiducia al governo e dare al Pd il pretesto per addossarci la responsabilità della crisi», spiegava ieri il Cavaliere durante uno dei tanti incontri della giornata. Perché «la responsabilità di quanto sta accadendo è di chi in Parlamento fa la grande coalizione a sostegno dell'esecutivo Letta e poi in Giunta cambia maggioranza e vota con l'opposizione la mia decapitazione politica».
Questo, in sostanza, è quanto emerge dalla riunione fiume di Palazzo Grazioli cui partecipano Angelino Alfano, Denis Verdini, Renato Brunetta e Renato Schifani e Fabrizio Cicchitto. Un confronto che va avanti per oltre tre ore: da una parte chi sostiene che la rottura sia ormai inevitabile e dall'altra chi pensa che invece sia necessario essere prudenti e tenere comunque fuori i destini del governo dalla partita in corso. Il Cavaliere come al solito ascolta, decide di confermare le dimissioni di massa dei parlamentari del Pdl ma prende tempo sul voto di fiducia. «Facciamo un passo alla volta», dice Berlusconi. Anche perché non è escluso che il voto della Giunta possa slittare a dopo il 4 ottobre e che la tempistica delle dimissioni sia destinata ad allungarsi. Inutile, insomma, precipitare tutto.
Un Berlusconi che non nasconde il suo disappunto verso Enrico Letta da cui si sarebbe aspettato un comportamento diverso. Giovedì, infatti, a far saltare sulla sedia l'ex premier non è tanto il doppio affondo di Giorgio Napolitano - ormai considerato apertamente ostile - quanto le parole del presidente del Consiglio. Credevo sarebbe restato neutrale - si sfoga il Cavaliere con i suoi interlocutori - e invece ha deciso di mettersi di traverso anche lui.
Sono anche queste le ragioni che portano ad un'accelerazione della crisi perché è chiaro che la convivenza sotto lo stesso tetto di Pdl e Pd è sempre più difficile. Dai Democratici, infatti, non arriva la minima concessione, nemmeno «un piccolo passo verso di noi» fa notare il Cavaliere che magari immaginava un rinvio alla Corte Costituzionale della legge Severino per verificarne la retroattività. Invece niente. Perché - fa notare Berlusconi durante una delle tante riunioni - «qualunque gesto distensivo seppure dovuto avrebbe per il Pd un valore simbolico che non vogliono dargli».
Nel partito, intanto, volano falchi e colombe. I primi entusiasti per l'accelerazione delle ultime ore, convinti sia arrivato il momento di staccare la spina. Daniele Capezzone, per esempio, affonda su Napolitano e punta il dito sul governo che «per rinviare l'aumento del'Iva al 2014 vorrebbe aumentare tasse e accise». Renato Brunetta, invece, parla di «grande determinazione nel difendere Berlusconi» e di «grande senso di responsabilità verso il governo Letta». E pure Fabrizio Cicchitto parla di «atteggiamento costruttivo», mentre Renato Schifani invita il Pd ad «evitare che il 4 ottobre si trasformi in una giornata di esecuzione politico-giudiziaria». Decisamente più tranchant Augusto Minzolini che vede pochi margini per tornare indietro e spera si arrivi al redde rationem: «Questo governo non ha fatto nulla su giustizia ed economia.

È arrivato il momento di prenderne atto».

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