Economia

Il vero italiano che conta è a Francoforte

Mario Draghi ha tagliato di nuovo i tassi di interesse e adottato misure per aiutare l'economia. Le Borse ringraziano

Il vero italiano che conta è a Francoforte

Macché Renzi. Ieri si è avuta l'ennesima conferma che l'unico italiano che conta per davvero è un altro. È Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea. Non dovremo mai dimenticarci di ringraziare la virtuosa e misteriosa combinazione di fattori geo-politici che ha portato, nel 2011, alla sua nomina. E che ci terrà al sicuro fino alla scadenza del 2019.
Come si era già capito durante il governo di Mario Monti, a fare rientrare lo spread dai massimi dei quasi 600 punti alla quota di sicurezza sotto i 300 era stato un altro Mario. Il «Super» Mario. Il quale, dal vertice della Bce, che ha sede in Germania, a Francoforte, dall'inizio della crisi dell'eurozona ha dovuto combattere proprio contro la Germania ogni tipo di resistenza verso una politica monetaria più espansiva. Con abilità e autorevolezza, Draghi si è battuto per dare alla Bce nuove leve di intervento, interpretandone il ruolo in maniera inedita: non più l'esclusivo compito di contenere l'inflazione, bensì quello più impegnativo - e fino a quel momento imprevisto - di salvare l'Unione monetaria europea senza massacrare i Paesi più indebitati. Con tutto lo scetticismo possibile da parte dei Paesi della ex area del marco tedesco.

Se due anni fa l'obiettivo era quello di abbassare lo spread, il differenziale tra i rendimenti dei titoli dei Paesi del sud (tra cui i Btp) e quelli del Bund, ora il tema è un altro: l'inflazione. Ma non quella alta, che per i tedeschi è sempre lo stesso incubo che 80 anni fa ha spianato la strada al nazismo. Ma quella bassa, troppo bassa allo 0,5%, che si accompagna per di più a una crescita quasi nulla, l'1% nell'area euro, quasi un terzo degli Usa e un settimo della Cina. Per procedere servono però interventi molto simili a quelli del 2012, perché il terreno di fondo resta lo stesso: urge dare più liquidità ai mercati sperando che questa finisca, prima o poi, nel motore dell'economia. Facile immaginare che a Berlino restino molto sospettosi: per loro c'è in giro un italiano che vuole alzare l'inflazione. Non è un caso che ieri la cancelliera Angela Merkel non abbia voluto commentare le iniziative di Draghi, mentre il presidente francese, Francois Hollande ha applaudito. Così come Matteo Renzi.

Il nostro premier, in verità, a Draghi dovrebbe fare un monumento. Non ci poteva essere un assist più smarcante di questo per il governo, uscito dalle elezioni europee con un risultato grande quanto lo è il credito che gli elettori gli hanno aperto. Ma che nello stesso tempo annaspa ancora nella palude del Pil negativo del primo trimestre. Così l'ufficio studi di Intesa ha definito le decisioni di ieri della Bce «molto oltre le aspettative». Per due motivi: il primo è che oltre alla leva dei tassi, Draghi ha introdotto condizioni di finanziamento presso la Bce fatte apposta per spingere le banche ad aumentare il credito alle imprese e per indebolire il cambio dell'euro-dollaro a favore della competitività delle merci europee. Il secondo perché, utilizzando un arsenale espansivo mai visto prima, ha fatto anche intendere che in autunno potrebbe arrivare la seconda ondata, comprensiva dell'acquisto diretto di titoli di Stato sul mercato.

Insomma per Renzi l'alleato più forte non sta a Roma, ma a Francoforte.

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