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Alfano diserta il vertice e studia la rivincita. Ora Schifani lo segue

Dopo ore di faccia a faccia il segretario non va all'ufficio di presidenza. I governativi sperano di trovare i numeri per un ribaltone al Congresso

Alfano diserta il vertice e studia la rivincita. Ora Schifani lo segue

L'unità del Pdl adesso è davvero appesa a un filo. Dopo il lungo e infruttuoso faccia a faccia pomeridiano tra Silvio Berlusconi e i ministri sul ritorno a Forza Italia, la convivenza tra «alfaniani» e «lealisti» è ormai riassumibile nella classica immagine dei separati in casa o della tregua armata. Angelino Alfano, certo, prova ad allontanare lo spettro della scissione e della costituzione dei gruppi autonomi e rinvia tutto al redde rationem del Consiglio nazionale fissato per l'8 dicembre, in coincidenza con le primarie del Partito democratico. Ma il solco appare tracciato con la decisione del segretario del Pdl di disertare la riunione (dopo aver tentato di tutti i modi di farla annullare) e il via libera di Berlusconi alla ricostituzione della sua prima creatura politica, con conseguente azzeramento di tutti gli incarichi, compreso quindi quello di Alfano.

«Sono convinto che il tempo che ci separa dal consiglio nazionale consentirà al presidente Berlusconi di lavorare per ottenere l'unità. Il mio contributo all'unità del nostro movimento politico, che mai ostacolerò per ragioni attinenti i miei ruoli personali, è di non partecipare, così come faranno altri colleghi, all'ufficio di presidenza che ha il compito di proporre decisioni che il consiglio nazionale sarà chiamato ad assumere» spiega il vicepremier in un comunicato alla fine dell'incontro con Berlusconi. La decisione di non prendere parte all'incontro rappresenta una presa di distanza dalle modalità con cui si sta tornando a Forza Italia.

A questo punto, spiegano gli «alfaniani», «o Berlusconi riuscirà a fare la sintesi oppure si andrà alla conta. Al presidente abbiamo ribadito che questo partito non deve votarsi all'isolamento ma conservare la propria vocazione maggioritaria».
Il Consiglio nazionale rispetto all'Ufficio di presidenza, è formato da una platea molto ampia di aventi diritti al voto (oltre 800 persone). Presieduto e convocato dal presidente nazionale (Berlusconi), è costituito da parlamentari nazionali ed europei; ministri, viceministri e sottosegretari; coordinatori regionali e loro vice; coordinatori provinciali; presidenti di Regione; assessori e consiglieri regionali; presidenti di Provincia; sindaci più una serie di figure dirigenziali intermedie. Un confronto aperto per il quale è già partita la conta e la ricerca dei consensi sul territorio, con i lombardi - Roberto Formigoni e Maurizio Lupi - e i calabresi di Giuseppe Scopelliti già molto attivi nella verifica dei loro numeri.

Gli «alfaniani» potranno contare sul vantaggio offerto da uno statuto che prevede la maggioranza dei due terzi per eventuali modifiche. Con un terzo dei consensi potranno quindi «bloccare» il ritorno a Forza Italia. A quel punto, però, diventerebbe inevitabile un confronto in una sede ancora più ampia come quella congressuale. La resa dei conti è, dunque, soltanto rinviata. E per le due correnti si va verso un mese e mezzo di fuoco, tra chi spinge per la scissione e chi tenta ancora di ricucire come Renato Schifani che decide di disertare la riunione (dopo aver provato fin dal mattino a convincere Berlusconi a fermarsi) ma conferma l'appoggio a Fi. «Nel ribadire la mia piena condivisione del passaggio dal Pdl a Forza Italia, più volte e in più sedi manifestata pubblicamente, ritengo opportuno non prendere parte ai lavori dell'Ufficio di Presidenza». E c'è anche chi, come Simona Vicari, ipotizza convergenze anomale pur di portare il Paese alle urne. «C'è un patto tra Grillo, i falchi del Pdl e Renzi per andare a votare a marzo».

Primi segnali di una temperatura destinata inesorabilmente a salire, da qui ai prossimi giorni.

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