Politica

Voto a marzo, il Pdl esulta. Ma le primarie sono in bilico

Alfano: "Prevale il buonsenso". Ma Berlusconi non vuole dare l'ok a una legge elettorale "suicida". Intanto cresce la fronda per trovare alternative ai gazebo

L'ex premier Silvio Berlusconi e il segretario del Pdl Angelino Alfano
L'ex premier Silvio Berlusconi e il segretario del Pdl Angelino Alfano

Tutto come da copione. Con Berlusconi che prova a puntare i piedi su febbraio, Bersani che insiste per aprile e il Quirinale che alla fine decide per il 10 e 11 marzo. Nella nota del Colle si parla esplicitamente delle elezioni regionali di Lazio, Lombardia e Molise ma è chiaro che a questo punto sarebbe ridicolo pensare di tornare alle urne per le politiche quattro settimane dopo. Insomma, di fatto quello di Napolitano è quasi un via libera all'election day, anche se il Colle preferisce non formalizzarlo per poter avere uno strumento di pressione nei confronti dei partiti in vista della riforma della legge elettorale.
Pressing che in verità il Cavaliere non sembra intenzionato a voler troppo subire perché, è il senso dei suoi ragionamenti, «non mi si può proporre una riforma elettorale con cui mi suicido». E forse non è casuale, dunque, che proprio ieri - come ai bei vecchi tempi - sia tornata una certa tensione tra Berlusconi e il Quirinale visto che il capo dello Stato non ha affatto gradito il fatto che l'ex premier abbia dato in mattinata la notizia dell'incontro pomeridiano tra Napolitano, Schifani, Fini e Monti.
Il Pdl resta comunque soddisfatto dall'esito del vertice. Non solo perché adesso potrà intestarsi il risparmio di circa cento milioni di euro che deriva dall'accorpamento ma anche per viene di fatto sventata l'infausta possibilità che si voti prima per il Lazio e la Lombardia e poi per le politiche. «Si va verso l'election day, prevale il buonsenso, prevalgono le nostre buone ragioni. Risparmiati 100 milioni», scrive Alfano su Twitter. «Vince la ragionevolezza», gli fa eco Cicchitto. Mentre Napoli elogia la «saggezza» di Napolitano.
Il problema, a questo punto, è un altro. Perché è chiaro che se si vota il 10 marzo le primarie sono davvero in bilico. Già alla riunione dei coordinatori regionali di qualche giorno fa erano state molte le perplessità. Non certo sul merito, quanto sulla fattibilità organizzativa (da Piemonte e Sardegna le obiezioni più dure). Perché non manca solo il tempo ma pure i soldi visto che le casse di via dell'Umiltà pare siano vuote. Senza considerare che Crimi è dimissionario dal ruolo di tesoriere e che lui e il suo vice Bianconi hanno le firme congiunte. Senza il primo, insomma, è difficile staccare gli assegni dal libretto. È in questo quadro che - seppure off the record - molti big del Pdl, compresi alcuni vicini ad Alfano, iniziano a pensare sia meglio trovare «una soluzione alternativa». Anche perché il Cavaliere le primarie continua a non volerle e a questo punto, spiega un ex ministro, tirare dritto «significherebbe incrinare definitivamente il nostro rapporto con Berlusconi». Una cosa che non ha senso fare se il rischio flop è dietro l'angolo. È di tutto questo che si parlerà martedì a via dell'Umiltà, quando Alfano dovrebbe incontrare i veritici del partito.
Lunedì a mezzoggiorno, invece, è fissata la dead line per candidarsi alle primarie. Lo hanno già fatto Alfano, Santanché, Samorì e Biancofiore. Dovrebbero invece farlo Crosetto, Galan e Mussolini. Ma c'è il rischio, fa presente Matteoli, che diventino una passerella e «perdano la loro funzione». Lunedì sarà della partita anche la Meloni. Lo ha annunciato giovedì pomeriggio durante una riunione a Roma con un'ottantina tra parlamentari, consiglieri regionali e provinciali e militanti. E la sua corsa potrebbe iniziare già il 23 novembre all'Auditorium Antonium di Roma.

«Ci sarò», twittava ieri l'ex ministro.

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