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A vuoto la mediazione tra Sel e il pm: Bersani rischia in Sicilia e Campania

I democratici temono di perdere la partita al Senato al Sud dove Rivoluzione civile può rubare altri voti

Antonio Ingroia durante la presentazione dei candidati della lista Rivoluzione Civile
Antonio Ingroia durante la presentazione dei candidati della lista Rivoluzione Civile

«Ha vinto il giacobinismo di Ingroia e del Fatto», dice amaro Vladimiro Crisafulli, detto Mirello, che venerdì è stato depennato dalla lista del Pd al Senato in Sicilia per tenere buoni i «giacobini».
Sa bene, il ras ex Pci e ora Pd di Enna, di essere stato la vittima sacrificale di una partita che in Sicilia, per Bersani e i suoi, si sta facendo difficilissima, e che non poteva essere giocata con la palla al piede degli «impresentabili» messi nel mirino ogni giorno dal Fatto. Perché ieri Antonio Ingroia ha definitivamente sepolto ogni ipotesi di «patto» con il Pd, Bersani dal canto suo ha negato di averlo mai cercato, e ora tra il centrosinistra e i «rivoluzionari civili» si va verso il corpo a corpo. E il premio di maggioranza in Sicilia («Dove la desistenza avremmo dovuto chiederla a Monti, visto che siamo alleati, altro che a Ingroia», secondo Crisafulli) e in Campania si allontana. «Ingroia avrebbe voluto cercare un'intesa - racconta uno dei dirigenti di Sel cui il segretario Pd aveva delegato il compito di tentare la trattativa - ma si sono messi di traverso Diliberto, Di Pietro e Ferrero». L'ex pm presenta le sue liste ovunque al Senato e, per sommo sfregio, ha candidato anche Sandro Ruotolo, nota spalla tv di Santoro, a governatore del Lazio. Creando un bel problema a Zingaretti. Ma adesso, annuncia l'esponente vendoliano, «inizieremo la guerra a tutto campo contro Ingroia: Bersani ha assicurato a Vendola che picchierà durissimo sul voto utile e sul fatto che Rivoluzione civile è il miglior alleato di Berlusconi, perché toglie voti a noi e aiuta il centrodestra a prendersi il premio di maggioranza». L'ultimo tentativo ancora in corso è quello di far ritirare i candidati ingroiani al Senato in Lombardia, dove la lista non ha speranze di fare il quorum dell'8% e dove c'è già un accordo su Ambrosoli: «Per il Pirellone ogni singolo voto serve come il pane, e quindi invece di fare i choosy con noi hanno trattato», commenta sarcastico un dipietrista. L'ultimo appello è stato affidato da Bersani ad Anna Finocchiaro, che ieri sull'Unità implorava un ripensamento: «La Lombardia è una regione strategica per il paese, mi chiedo se non sia possibile tenere aperto uno spazio di riflessione per non consegnare seggi decisivi a Berlusconi».
D'altra parte, lamentano dalle parti di Di Pietro ed Ingroia, chiedere - come fa il Pd - di fargli il favore di togliersi di mezzo al Senato «e proprio nelle uniche regioni in cui siamo praticamente certi di poter fare il quorum», ossia Campania e Sicilia, ma «senza darci niente in cambio», neppure il riconoscimento politico di una trattativa a viso aperto, era davvero un po' troppo. Sono stati mandati gli emissari Sel, si è attivato Dario Franceschini con Leoluca Orlando (e mal gliene incolse, visto che il sindaco di Palermo lo ha immediatamente raccontato urbi et orbi), sono stati offerti un pugno di senatori in cambio della desistenza - si dice tre o quattro - ma si è rigidamente rifiutata ogni apertura politica. «Ci hanno mandato solo intermediari», lamenta Ingroia. Ma una trattativa aperta non solo avrebbe messo il Pd in rotta di collisione con il Quirinale, dove Ingroia e la sua compagnia di giro sono comprensibilmente visti come il fumo negli occhi, ma avrebbe creato una insanabile contraddizione con quello che è e deve restare il primo interlocutore del centrosinistra, ossia il centro di Monti.

E infatti Ingroia ha buon gioco a rinfacciare al Pd la sua scelta di campo pro-Monti, mettendo in forte difficoltà Sel, che già si vede cannibalizzata nei sondaggi dalle liste ingroiane.

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