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"Zombie", "Fascista", "Satana". Beppe-Pier alleati impossibili

Tra il leader Cinque Stelle e il segretario Pd i rancori sono di vecchia data. Hanno passato gli anni a insultarsi. E ora dovrebbero governare insieme

"Zombie", "Fascista", "Satana". Beppe-Pier alleati impossibili

Roma - C'eravamo tanto odiati. Da sempre, da subito. Beppe Grillo e il «Pdmenoelle» (formula creata dallo stesso comico genovese) sono sempre stati avversari. Peggio. Quei due, Grillo e Bersani, almeno fino a ieri praticavano sport diversi, l'uno con l'artiglieria pesante e l'altro infeltrito nello sputacchiare freccette spuntate. Può esistere un flirt di governo tra bombaroli e smacchiatori di giaguari?
Il Pd Grillo lo ha a lungo ignorato. Nel luglio 2009 intervistato da Repubblica Tv, Piero Fassino in versione Nostradamus profetizza: «Se Grillo vuol far politica fondi un partito, vediamo quanti voti prende». Sono i giorni in cui il capopopolo sfida l'establishement Dem candidandosi per le primarie a segretario. Il Pd, che del nuovo ha sempre una paura fottuta, gli rifiuta la tessera.

È nel 2012 però che Bersani e Grillo iniziano a duellare con frequenza. I soloni del Pd si accorgono alle elezioni amministrative di maggio che il giullare fa sul serio e questi inizia ad accostare al volto del segretario del Pd l'immagine dello zombie. «Il non morto (ma quasi) di un partito mai nato Bersani - scrive sul blog - ha detto di aver “non vinto” a Parma, Comacchio e Mira. Chiamate un'ambulanza per un Tso». E ancora: «Bersani è un pollo che si crede un'aquila».
A luglio Grillo attacca le frange più tradizionaliste del Pd sulle nozze gay: «Rosy Bindi, che problemi di convivenza con il vero amore non ne ha probabilmente mai avuti, ha negato persino la presentazione di un documento sull'unione civile tra gay. Vade retro Satana». Scandalizzato Bersani: «Parole indecenti, segno di un maschilismo e di una volgarità di cui pensavamo avesse dato miglior prova Berlusconi, ma evidentemente al peggio non c'è limite». Ad agosto Bersani si indigna ancora. «Sulla rete ci dicono che siamo degli zombie. Sono linguaggi fascisti. Vengano a dircelo di persona», dice come un gradasso da B-movie. Replica Grillo: «Bersani si rassicuri, non gli do del fascista ma del fallito».

Ottobre: il voto in Sicilia registra il boom dei grillini, ma la regione va al centrosinistra. Grillo sbeffeggia Bersani «che legge solo Repubblica e crede genuinamente che io non sia mai stato in Sicilia». Ma il segretario democratico giorni dopo insiste: «Non è possibile accettare che, da un tabernacolo, uno detti il compito. Lenin gli fa un baffo». Detto da un post-comunista...

Arrivano le primarie del Pd. Grillo saluta «Gargamella felice, è diventato un leader». Niente in confronto alle bordate di qualche settimana dopo, 8 gennaio 2013: «Bersani ha detto di non conoscere le persone nelle liste del Pdmenoelle che hanno problemi con la giustizia. Vorrei facilitare l'arduo compito segnalandone alcuni». E giù un elenco di inquisiti, indagati eccetera. Bersani non replica, ma il 19 gennaio a Brescia accusa i grillini di «posizioni fascistoidi. Adesso abbiamo qualcuno che stringe le mani a Casa Pound, fascisti dichiarati, e qualcuno che dice che dobbiamo chiudere i sindacati».

Esplode lo scandalo Mps, che secondo Grillo «fa impallidire Parmalat e Banco Ambrosiano. Craxi in confronto rubava le caramelle ai bambini». Il comico chiede la testa di Bersani: «Si deve dimettere». Risposta dallo smacchiatore di Bettola: «Non prendo lezioni da autocrati da strapazzo». La campagna elettorale entra nel vivo. Bersani la butta sui soldi. «Grillo vuol vincere sulle macerie, ma così può permettersi di vincere solo un miliardario», annuncia il 17 febbraio. «Io sono figlio di un meccanico, non sono un miliardario - insiste il venerdì prima del voto -. E a me non preoccupa l'insulto che Grillo fa a me, questa robaccia. Mi preoccupa che se vince uno così noi andiamo nei guai, il giorno dopo le elezioni». Ecco, Bersani ne ha azzeccata una. È nei guai.

Per colpa di «uno così», a cui però è costretto a elemosinare l'appoggio come uno «stalker» politico.

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