Roma

«Io, clavicembalo de Roma»

Anche il secondo appuntamento del Festival di Musica Barocca di Villa Medici, lunedì scorso, è andato esaurito, nonostante che il programma fosse più sofisticato - diciamo chiaramente: più difficile - del precedente, incentrato sulle danze. Nella bella Loggia dell’Accademia di Francia che affaccia sul curatissimo giardino, solo un clavicembalo. Non uno strumento qualsiasi, bensì un clavicembalo storico del Seicento - modello Ruckert, dunque olandese di provenienza - ma di fabbricazione francese, acquistato dall’Accademia di Francia quando la dirigeva il grande Balthus. Invitato a suonarlo, in un repertorio che raffronta i temperamenti musicali delle nazioni principe (Italia, Francia e Germania) un noto clavicembalista e direttore italiano. Desideriamo sottolinearlo: italiano.
«Sì sono italiano, anzi romano - ci dice orgoglioso Rinaldo Alessandrini, perché è di lui che si tratta -. Ho studiato in Italia e in qualunque altro luogo dove ritenevo di poter imparare qualcosa, ho suonato con molti gruppi stranieri, nei quali, devo ammetterlo, mi sono fatto le ossa, ma da almeno una ventina d’anni lavoro in proprio, da solo (come direttore e clavicembalista) o con il gruppo che ho costituito giusto vent’anni fa, Concerto Italiano».
Per quale alchimia, in una caldissima sera d’estate, un bel gruppo di fedeli amanti della musica vengono a sentire un concerto clavicembalistico?
«Molti elementi vi concorrono. Innanzitutto la chiamata a raccolta di una prestigiosa istituzione come l’Accademia di Francia; il fascino del luogo, in seconda; poi il richiamo di un bellissimo strumento e infine, perdoni l’immodestia, il richiamo di un interprete conosciuto».
Un concerto all’aperto impone qualche concessione in termini di qualità.
«Certamente. Non voglio dire che aveva ragione Toscanini quando diceva che all’aperto si poteva solo giocare a bocce; però il caldo e l’umidità creano problemi a strumenti così delicati (il restauratore e “conservatore” del prezioso clavicembalo, Sauro Manchia, si è prodigato, durante l’intervallo, per riaccordarlo); i rumori non possono essere del tutto eliminati e via dicendo. Ma anche un bell’ambiente può creare il necessario feeling fra esecutore e pubblico».
Come ha trovato il pubblico di Villa Medici?
«Innanzitutto un pubblico internazionale, trasversale per età, molto attento alla musica. Il pubblico che si desidera avere sempre, quel pubblico cioè che va a un concerto innanzitutto per ascoltare della bella musica. La musica deve entrare nella quotidanità. Basta con gli eventi».
Maestro, a giorni l’attende la preparazione di un importante appuntamento, nelle vesti di direttore, sia per lei che per la vita musicale italiana.
«Sì, e mi sto preparando da tempo. Dopo Ferragosto, alla Scala di Milano, inizio le prove dell’Orfeo di Monteverdi che andrà in scena da metà settembre, con la regia di Bob Wilson. Si tratta di un progetto pluriennale, in coproduzione con l’Opéra di Parigi, che prevede la rappresentazione delle 3 opere di Monteverdi.

Dopo Orfeo, Il ritorno di Ulisse in patria e, da ultima, L’incoronazione di Poppea».

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