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Isis, le attese che non ci possiamo permettere.

L’avanzata dell’ISIS nel nord dell’Iraq e della Siria sta mettendo in imbarazzo le cancellerie di mezzo mondo e palesa come non mai la mancanza di una strategia di azione di Unione Europea e Stati Uniti. I mujahidin iracheni che in queste ore lottano per conquistare territorio non sembrano affatto impauriti da un’eventuale risposta dell’occidente, ammesso che mai ci sarà. Obama rimane attendista e si limita a raid aerei nel tentativo di evitare il peggio, senza al momento spiegare al mondo quale sia il piano su larga scala che intende mettere in atto per salvare il medio-oriente dal caos totale.

Le dichiarazioni allarmanti di Hilary Clinton rilasciate in un’intervista al The Atlantic mettono in luce uno scenario preoccupante: “È stato un fallimento. Abbiamo fallito nel voler creare una guerriglia anti Assad credibile. Era formata da islamisti, da secolaristi, da gente nel mezzo. Il fallimento di questo progetto ha portato all’orrore a cui stiamo assistendo oggi in Iraq”. Le parole dell’ex Segretario di Stato americano descrivono con efficacia la strategia internazionale di Obama: evitare un coinvolgimento diretto degli USA nei conflitti in medio oriente. Una strategia che però sembra non avere portato lontano: Libia, Ucraina, Siria, Iraq, tanti focolai sparsi per il mondo e tante occasioni mancate per l’occidente che hanno portato addirittura il Papa a parlare di una “terza guerra mondiale a pezzetti”. Non c’è dubbio che l’amministrazione Obama abbia preso in eredità tutta una serie di questioni aperte da Bush mal gestite fin dal principio, ma che l’Iraq fosse una bomba a orologeria era chiaro da tempo anche se non in queste proporzioni: in poche settimane infatti gli jihadisti hanno conquistato ampi territori avvicinandosi non di poco alla capitale Baghdad, disponendo di un numero considerevole di uomini addestrati alla guerra che ormai raggiunge le quasi trentamila mila unità. Ad allarmare però non solo i numeri elevati di combattenti, l’ISIS dispone infatti di una immensa quantità di denaro, frutto soprattutto del petrolio venduto sul mercato nero: il patrimonio dell’organizzazione si aggira ad oggi attorno ai due miliardi. I numeri impressionano ancora di più se paragonati ai bilanci di altri gruppi terroristici, certamente non proprio innocui: secondo il “Council of Foreign Relation” le casse di Hamas dispongono di circa 70 milioni all’anno (briciole), mentre quelle di Hezbollah raggiungono quasi il miliardo, grazie anche agli aiuti provenienti da Tehran e Damasco. Dunque ad oggi l’ISIS potrebbe rendersi sempre più indipendente rispetto ai petrodollari del golfo che inizialmente (ancora?) hanno finanziato l’organizzazione liberandosi così da ogni tipo di pressione esterna. Non proprio buone notizie insomma.

La risposta dell’Europa non è stata, come spesso accade, univoca. La decisione di armare i curdi ha trovato la resistenza di Belgio, Svezia e Austria favorevoli solo allo stanziamento di aiuti umanitari. Non pare al momento ipotizzabile un passo ulteriore in avanti da parte dell’Europa, che preferisce stare a guardare e aspettare il momento per agire più incisivamente. Attese dunque, che potrebbero costare la vita di altri innocenti e favorire ulteriormente l’espansione territoriale dell’ISIS che per il momento però sembra essersi arrestata.

Abu Bakr Al-Baghdadi, leader dell’organizzazione islamica, nella sua unica apparizione pubblica parlando dal pulpito di una moschea ha dichiarato guerra all’occidente e indicato l’uso delle armi quale unico strumento per l’applicazione della Shari’a nel nuovo stato islamico. Documentari, come quello realizzato da VICE NEWS (https://news.vice.com/video/the-islamic-state-full-length) e video di propaganda mostrano come in molte città, partendo da Raqqa, capitale del califfato, le leggi del corano vengano applicate quotidianamente: tribunali e forze di polizia religiosa provvedono a mantenere alto il livello di tensione e controllo del territorio, piegando la popolazione locale alle nuove regole imposte dal califfato.

Intanto il mondo si chiede come mai l’islam moderato non decida di fare un passo avanti e condannare pubblicamente quanto sta succedendo in Iraq. L’UCOII (Unione delle Comunità Islamiche d’Italia) si è limitato a diffondere online un comunicato con il quale critica le azioni dell’ISIS, ma allo stesso tempo seppure indirettamente ne legittima l’ideologia. Il testo inizia infatti chiamando all’appello la “Gente del Libro” (cristiani ed ebrei) i quali (il testo ovviamente omette) sono tenuti secondo i precetti islamici al pagamento della Jizya, ovvero un’imposta in cambio di protezione. Purtroppo la storia ci ricorda come neppure il pagamento della jizya fermò le persecuzioni contro le minoranze religiose nei paesi governati dai musulmani. (http://www.ucoii.org/tag/isis/)

La comunità internazionale in virtù delle regole che vietano l’uso della forza costringe se stessa all’immobilità, stando a guardare chi quei divieti non li considera nemmeno. Siamo alle solite: Europa e Stati Uniti roccaforte di civiltà e diritti solo in casa propria.

Evidentemente le immagini che ritraggono i cristiani dell’Iraq fucilati e degli “infedeli” crocifissi non sono bastati finora a giustificare una reazione di grosse proporzioni da parte dell’occidente, che rimane per il momento attendista, sapendo bene che può andare solo peggio.

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