Istanbul ti strega con i suoi profumi

Uno dei ritratti più efficaci della Istanbul di oggi esce dal romanzo omonimo di Orhan Pamuk, premio Nobel abilissimo a dipingere una metropoli in bianco e nero, stretta tra ovest ed est, decadenza e contemporaneità. Per trovare del colore, invece, il forestiero dovrebbe puntare sull’antica Costantinopoli scortato soltanto dagli istinti del palato: rimarrebbe investito da folgori di una bontà tale da incatenarlo al suolo come quei bimbi che, dopo un pomeriggio al luna park, non vogliono saperne di tornare a casa.
Attorno al Bosforo e all’estuario del Corno d’Oro oggi è tutto un tripudio di börek (pasticcerie traboccanti di caramelle lokum e innumerevoli micro e macro-dessert baklava), meyhane (sorta di popolari pub/tapas bar alla turca), lokanta (tavole calde), kebapçi (mini-mecche della carne grigliata o arrostita), köfteci (templi di polpette di carne trita impastata a spezie, uova, cipolle grigliate, fritte, cotte al forno o bollite), scenografici caffè e tea-garden. E si attorcigliano matasse di restoran dalle dimensioni che variano dal buco nel muro a dimore regali spalmate su più piani, luoghi che preparano sfiziosità da passeggio o complesse ricette da sballo dei sapori, marchiate da tecniche, ingredienti e spezie che riproducono tradizioni dalla steppa asiatica alla Mitteleuropa, i due estremi dell’impero Ottomano che fu.
È da questo solidissimo piedistallo che la Istanbul più laica e fedele allo spirito del grande Atatürk sta lanciando un boom pronto a vincere almeno lo scetticismo dei nostri palati, anche a costo di infrangere tabù gastro-religiosi: si produce e si consuma sempre più prosciutto e carne di maiale (così come anche in India si inizia a non disdegnare la carne di mucca); spuntano manifestazioni che strizzano l’occhio a rassegne europee (www.mutfakgunleri.com, per esempio) con simboli in cui al posto dei minareti svettano coltelli e forchette. E chiunque ai lati della strada spilli una birra Efes Pilsen o raschi del kebab si sente in diritto di indossare casacche e cappelli da chef alla francese. Effetti della globalizzazione alimentare.
Dove coglierne i frutti migliori? Le esperienze più autentiche si vivono per strada: che l’avventura abbia inizio sul far della sera attorno a Istiklal Caddesi, cuore del distretto moderno di Beyoglu. Tra i fumi della gente, il patinato delle boutique e il canto ciclico del muezzin, ecco Haci Abdullah, un’istituzione secolare cesellata da composte, succhi di frutta e künefe, superba pasta sfoglia di frumento con formaggio, pistacchio, miele. Poi, i ristoranti del ciçek pasaji, corte scenografica ricavata all’interno di un palazzo storico. Ancora, le brulicanti meyhane della vicina Nevizade Sokak, dove spicca per fasti golosi e vivace chiacchiericcio il ristorante Krependeki Imroz, un riassunto di polipi, acciughe e tanto buon pesce dall’isola di Gökçeada, che sta tra Grecia e Turchia. Ai dolci ci si pensa invece nel primo pomeriggio alla Patisserie Markiz, un trionfo di art-nouveau, ancora sull’Istiklal, in cui sciogliersi tra gateau di cioccolato e tazze fumanti di caffè.
Caffè, d’accordo. Ma la bevanda nazionale è il tè, l’ubiquo çay che è però meno ubiquo di un tempo, quando ogni turco arrivava a sollevare i caratteristici tulipani fino a 25 volte al giorno. Oggi le varietà sono più ridotte di un tempo, domina il black tea della regione di Rize, sul mar Nero ed è un super-piacere gustarlo koyu (forte) o açik (leggero), magari in due al Café Pierre Loti di Eyüp, con vista sublime sul tramonto e sulle barche che solcano lente il Corno d’Oro.
Chi invece vuole capire quanto i kebab che mangiamo in Italia siano stoppose caricature del metodo originale dell’Anatolia sud-orientale, può divorare sereno un fistikli al pistacchio e carne d’agnello del Tekirdag, nel Mar di Marmara, nel magnifico e turistico Hamdi di Eminönü, ristorante che guarda davanti il ponte Galata e sopra la testa le stelle oltre le vetrate.
Infine, due opzioni very posh: al ristorante del Four Seasons, nel Sultanahmet – quartiere indubbiamente da vedere, ma certo poco food-oriented -, si va per le creazioni turkish-fusion di Mehmet Gök: Muhallebi all’acqua di rose, pudding di riso e gelato speziato, per esempio.

E a Besiktas, nell’iper-modaiolo Vogue si cena su una terrazza ad angolo sul giro sul Bosforo, con sushi fresco in tavola e lounge music sparata dalle casse, segnali di un mondo che è sempre più paese.

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