Europei 2012

Italia contro Spagna parenti scomodi così uguali e diversi

Noi siamo i maestri, loro gli allievi (geniali). Ci hanno copiato tutto. Ma non possono insegnarci come vincere. Questa sera l'appuntamento con la storia

Italia contro Spagna parenti scomodi così uguali e diversi

Aggiorna le dicerie. Questa adesso suona così: una faccia, due razze.Italia-Spagna vale l’Eu­ropa e qualcosa di più: un derby pallonaro e sociale. Perché sono anni che incrociamo il loro calcio e la loro società: uguali e diversi. Ci sentiamo fratelli in perenne bi­lico tra l’affetto e il dispetto. Noi li ammiriamo e vogliamo batterli, loro ci ammirano e ci vogliono battere. Questa è una sfida di talenti so­vrapponibili: a noi Pirlo, a loro Xa­vi; a loro Casillas, a noi Buffon; a noi Prandelli, a loro Del Bosque. Uno contro uno, cioè tutti contro tutti. Non è più uno scontro tra idee differenti, come con la Ger­mania. La Spagna del calcio è un parente scomodo, uno che ti ha succhiato i segreti e li ha usati per fregarti. Hanno le due squadre più forti del mondo, diventate co­sì copiando l’Italia.

Noi i maestri, loro gli allievi geniali. Siamo lì, ora. Di nuovo. Dicono sia una sfi­da tra modelli. Già, i modelli. Il loro è quello del Barcellona senza Messi. Xavi, Iniesta, Busquets, Pedro, Puyol, Piquè, Fabregas. Un blocco mo­nolitico eppure sfaccettato che s’è preso 13 trofei in tre anni con i club e con la nazionale è campio­ne d’Europa e del mondo insie­me. Tutti a studiare il Barça e quindi la Spagna.Che cos’è?È fu­turo, soldi, marketing, strategia, pianificazione.È sostanzialmen­te l’opposto di quello che raccon­tano: perché ci hanno detto della diversità, dell’alternativa umana al disumano mercato pallonaro, dell’ultimo brandello di artigia­nalità in un mondo da calciatori in batteria.

Ci hanno raccontato lo spicchio di verità che funziona perché rende diversi, opposti, de­mocratici, liberali. Perché la Spa­gna è la costruzione geniale del­l’estremismo modernista ma­scherato da neoumanesimo cul­turale e sportivo. È un disegno, una creazione, un’architettura. Non c’è nulla di casuale, né di spontaneo: fa tutto parte di un progetto. Nel campionato spa­gnolo funziona. È il grande gioco che divide Barcellona da Madrid. I primi sono i buoni, quello della cantera, del calcio creato nei set­tori giovanili. I secondo sono i cat­tivi, i milionari viziati e mercena­ri.

La verità è che tra Barça e Real la differenza è il sistema, si parte da punti distinti per arrivare allo stesso obiettivo: vincere e guada­gnare, creare business, far circo­lare soldi e popolarità. Perché il Barcellona questo fa: non ha sco­pi umanitari, né solidali, fabbri­ca campioni da usare come mez­zo per macinare milioni o facen­doli giocare nelle sue squadre op­pure vendendoli a chi offre di più. Il resto è un abito costruito abilmente da un mondo che flirta con il modello Barça perché è me­no sfacciato di quello degli altri club, perché permette di realizza­re sogni, perché garantisce la bel­lezza del gioco oltre allo spettaco­lo, perché i suoi strateghi hanno capito che conservando una par­venza di u­manità avrebbero otte­nuto un risultato migliore. In na­zionale il film è uguale: la Spagna è il Barcellona, il Real è l’Italia.

Noi siamo quelli che hanno esportato il modello del pallone­business. Siamo accusati di esse­re­quelli che hanno i giocatori me­no affezionati alla maglia, ci auto­flagelliamo dicendo che abbia­mo abbandonato i nostri giova­ni. Poi arriva l’Europeo e cambia qualcosa. Forse più di qualcosa. La Spagna non è più così perfetta. Non è più così figa. E noi non sia­mo così male. Ci scopriamo più artigiani veri dei presunti artigiani spagnoli. Più autentici, più imprevedibili. Loro sono più forti, noi siamo più intriganti. È un derby, il nostro derby. Abbiamo scoperto che il nostro calcio con le pezze compe­te con quello dei padroni del cam­po in Europa e nel mondo.

Oggi sappiamo pure che i loro acquisti milionari, quelli che fanno inna­morare i ragazzini di tutto il pia­neta li hanno fatti anche con i no­stri soldi. Salviamo le loro ban­che che salveranno il loro calcio più in bancarotta del nostro. Fra­telli, allora. Una razza, due facce. Italia-Spagna. Il meglio che c’è. Uno contro uno e tutti contro tut­ti. È una specie di partita in fami­glia: ieri, oggi e domani. Una ce­na di Natale dove a un certo pun­to qualcuno racconta la storia mi­gliore.

Oggi noi vogliamo che la nostra sia semplicemente stu­penda.

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