Salute

Italia generosa con i trapianti: "esporta" organi ma ne ha bisogno

Inviati all'estero dal nostro Paese 528 organi, ricevuti soltanto 28. Un intervento su cinque viene eseguito in Lombardia In Veneto il record di «turisti ospedalieri»

Italia generosa con i trapianti: "esporta" organi ma ne ha bisogno

C'è una bilancia commerciale largamente positiva per l'Italia: difficile da credere, ma si tratta degli organi umani da trapiantare. In pochi lo sanno, ma ci sono migliaia di reni, cuori, fegati che si spostano su e giù per l'Europa provenienti da persone decedute in un Paese e destinate ad essere trapiantate su persone in un altro Paese. A contare quanti organi esportiamo ogni anno è un ufficio che ha un nome lungo come una poesia: «Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera e dei Servizi territoriali per l'Assistenza Sanitaria al personale Navigante, marittimo e dell'aviazione civile» (Usmaf-Sasn). Tra i suoi compiti c'è anche quello di autorizzare l'ingresso in Italia di organi umani provenienti dall'estero e autorizzare l'export degli stessi. Ebbene: secondo i dati elaborati dal sito di datajournalism Truenumbers.it, nel 2017 il 95% di tutte le autorizzazioni hanno riguardato organi destinati all'estero. In numeri assoluti, l'anno scorso sono usciti dall'Italia 528 organi destinati al trapianto e ne sono entrati solo 28. La maggior parte degli organi esportati finiscono nei Paesi Bassi, seguiti da Gran Bretagna e Portogallo.

La bilancia «commerciale», quindi, è ampiamente positiva, anche se in Italia di organi c'è sempre bisogno: nel 2016 i trapianti effettuati sono stati 3.417 (più 13,9% rispetto all'anno precedente) con una distribuzione, però, per niente omogenea tra le Regioni. Basti pensare che il 20,5%, pari a 702 interventi, sono stati eseguiti negli ospedali lombardi; di questi il 72,8% su pazienti lombardi e il resto su pazienti che vengono da fuori Regione. Considerando i pazienti «extra regionali», quelli che ne opera di più è il Veneto: nel 2016 gli ospedali veneti hanno eseguito 488 interventi di trapianto, il 49,2% dei quali su pazienti extra regionali. Al terzo posto per numero di trapianti c'è il Lazio con 383 interventi. Ma quello che è ancora più interessante è il tasso di sopravvivenza, ovvero: qual è la percentuali di pazienti che, a 5 anni dall'intervento, sono ancora vivi? I dati ufficiali del Ministero della Salute prendono in considerazione i tre tipi di trapianti più diffusi e, per avere un dato statistico significativo, considera i 32.529 interventi di trapianto di cuore, fegato e reni eseguiti tra il 2003 e il 2015 in tutte le Regioni (Liguria, Umbria, Marche e Calabria non si eseguono trapianti di cuore mentre quelli di fegato non vengono eseguiti in Umbria e Calabria).

Per leggere correttamente i dati occorre, prima di tutto, considerare la media nazionale: a 5 anni dall'intervento è ancora vivo il 73,1% dei pazienti che hanno subìto il trapianto di cuore; il 74,9% di coloro che hanno subìto un trapianto di fegato e il 92,3% di coloro che hanno subìto il trapianto di rene.

A livello regionale, però, le differenze sono significative: la Regione che ha il più alto tasso di sopravvivenza per i trapianti di cuore è l'Emilia Romagna con una percentuale dell'80,5% mentre quella che ha la percentuale più bassa è l'Abruzzo: 52%. Fegato: la Regione con la percentuale di sopravvivenza più alta è la Sardegna con l'82,7% mentre quella con la percentuale più bassa sono Marche e Lazio con il 67,2%. L'Abruzzo, invece, con una percentuale del 96,2% è la Regione che segna il miglior risultato per quanto riguarda i trapianti di reni.

Ma sul Lazio il documento del ministero segnale una evidente anomalia: il fatto che una Regione esegua più o meno trapianti non dipende tanto dal numero dei centri specializzati (a parte le Regioni che non ne dispongono), ma dalla produttività. È il caso dei trapianti di fegato: Piemonte-Val d'Aosta dispongono di una sola struttura dedicata al trapianto di fegato che, però, esegue 132 interventi l'anno.

Il Lazio dispone di 5 centri per il fegato (dei quali uno pediatrico) che eseguono, però, appena 32,6 operazioni l'anno ciascuno.

Se le code per i trapianti si allungano, quindi, non è solo un problema di disponibilità degli organi, ma anche di produttività dei medici.

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