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Kashmir, sono 30mila i morti del terremoto

È un friulano di 46 anni. La sorella: noi continuiamo a sperare

Maria Grazia Coggiola

da New Delhi

La tragedia del terremoto che sabato mattina ha messo in ginocchio il Pakistan è negli occhi del presidente Pervez Musharraf. Apparso ad una conferenza stampa con gli occhi lucidi e la voce rotta dalla commozione, il generale di Islamabad ha chiesto aiuto alla comunità internazionale e alla ricca diaspora pachistana. «È la più grande catastrofe nazionale - ha detto – e non abbiamo abbastanza mezzi per affrontarla. Aiutateci, ci servono urgentemente medicinali, tende da campo e soprattutto elicotteri cargo, più grandi sono meglio è».
A due giorni dal tremendo sisma di magnitudo 7,6 della scala Richter che ha devastato la regione himalayana del Kashmir, solo il 60 per cento dei villaggi è stato raggiunto dai soccorsi. Queste ore sono cruciali per salvare vite umane da sotto le macerie e per curare i feriti. Ma a causa delle strade bloccate da frane e crolli, vaste zone del Kashmir pachistano e della provincia di Frontiera del Nord Ovest, a ridosso del confine afghano, sono ancora isolate. E probabilmente lo saranno ancora nei prossimi giorni.
Secondo le stime del ministro degli Interni Aftab Sherpao, i morti sono 19mila (ma si teme che possano arrivare a 30mila) e oltre 40mila i feriti. Centinaia di migliaia di senza tetto hanno trascorso la seconda notte all’addiaccio nella spasmodica attesa dei soccorsi. La macchina internazionale degli aiuti si è messa in moto, ma il compito è immane. Il governo ha mobilitato tutto l’esercito nelle operazioni di soccorso. In alcuni centri come Muzaffarabad, la capitale del Kashmir pachistano, più vicina all’epicentro, le ruspe e i medici sono al lavoro. Lo stadio di cricket è stato trasformato in un enorme ospedale all’aria aperta. Ma nelle cittadine e nei villaggi di montagna più isolati i militari non sono ancora arrivati.
Paradossalmente nella zona devastata, a cavallo di uno dei confini più “caldi” dell’Asia dove si sono combattute tre guerre, ci sono un milione di soldati schierati. Ma militari, contadini, donne e bambini sono ancora sotto cumuli di fango e macerie. I comandi della Nato e degli americani di Enduring Freedom dispiegati nel vicino Afghanistan hanno escluso un loro intervento perché l’intervento umanitario non fa parte della propria missione.
Altrettanto paradossale è la notizia diramata ieri da fonti militari indiane, secondo la quale otto militanti estremisti sono stati uccisi mentre tentavano di infiltrarsi nel Kashmir controllato dall’India. Nonostante la terra che trema (in 24 ore ci sono state 45 scosse di assestamento) e nonostante le invocazioni di chi è ancora sotto le macerie, la routine va avanti. India e Pakistan rimangono due nazioni divise dal conflitto, anche se ora sono unite dall’emergenza di un terremoto.
Un quotidiano indiano ieri suggeriva ai due governi di «cogliere questa rara opportunità per costruire la pace insieme» e di coordinare le operazioni di soccorso attraverso la linea di controllo, come si chiama il confine che separa i due Kashmir. Finora però Musharraf non ha risposto all’offerta di aiuto rivolta dal premier indiano Manmohan Singh.

Tuttavia, ieri sera, i due governi hanno deciso di coordinare le operazioni di soccorso lungo la linea di controllo e di utilizzare la «linea rossa» tra i ministeri degli Esteri, creata in passato allo scopo di scongiurare lo scoppio accidentale di un conflitto.

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