Cultura e Spettacoli

Kerouac: «Devo compiere una splendida impresa»

Nei diari dello scrittore, la febbrile volontà di creare il «grande romanzo»: «Ora riesco a scrivere anche 4000 parole al giorno»

Lui stesso aveva creato la leggenda del capolavoro scritto in appena tre settimane, poco più di venti giorni folli e divini, dal 2 al 22 aprile 1951, un delirio, un orgasmo senza fine, la fucina fumante di un Vulcano della parola. La leggenda adatta al padre della Beat Generation, genialità senza regole, On the road, viaggio maledetto e libero dell’anima e nell’anima, una generazione intera cresciuta a cercare di ritrovare sulle strade del mondo le tracce del genio, a frugare tra la polvere per scoprire il mistero dell’arte e il segreto della vita.
E invece... Invece: «Stanotte: 2500 parole, nonostante abbia perso tempo a leggere i miei vecchi scritti. Ora riesco ad arrivare fino a 4000 parole al giorno. In ogni caso è un passo avanti. Significa 9500 parole in cinque giorni o meglio quattro e non ho ancora iniziato a lavorare a pieno ritmo». E la sera dopo altre 4000 parole, un’altra, invece, soltanto 1500, e allora il genio sregolato fa i buoni propositi: «Allora devo procedere nel modo più risoluto ed efficiente: solo, spontaneo, disciplinato, ancora e sempre. Il futuro ha in serbo una splendida donna per me e dei figli, ne sono certo: devo essere alla loro altezza e andar loro incontro da uomo che ha realizzato i propri progetti. Non importa se sarò uno di quei padri frustrati. Alle mie spalle però ci deve essere il compimento di una splendida impresa - Questo è il modo in cui ci si deve sposare, il modo di prepararsi per opere ancora più grandi».
Un mondo battuto dal vento (Mondadori, pagg. 453, euro 17), sono i diari che Jack Kerouac scrisse tra il 1947 e il 1954, gli anni in cui pubblicò La città e la metropoli e, soprattutto, preparò Sulla strada, il colpo di vento che scosse la letteratura americana, il breviario che ogni giovane, negli anni Sessanta, teneva nello zaino per partire alla conquista del mondo. Taccuini in cui il poco più che ventenne Jack registrava, con l’alluvionale febbre di parole che lo bruciava, ogni momento della sua giornata, ogni tappa della sua corsa, progettata e costruita per anni, verso il «grande romanzo». Perché questa è la grande rivelazione di questi diari: la metodicità, la forza di volontà, la professionalità di un ragazzo che ogni giorno, ogni sera siede alla scrivania per ingaggiare la battaglia per raggiungere la fama, con una lucidità che sfiora il cinismo mentale e che solo rare volte s’incrina per far intravedere gli impulsi della sua età: «In queste serate di giugno sono triste, solo e desidero follemente una donna... e vado avanti a lavorare e a lavorare. Le vedo mentre escono dal lavoro e impazzisco... “né tempo né soldi”, ma il mio desiderio di una donna, proprio ora, è al culmine».
Il resto, invece, è lavoro, lavoro, lavoro. Così che le bevute di birra con gli amici, il rapporto con il padre morto nel 1946, perfino i suoi vagabondaggi per quelle strade d’America che saranno la fucina delle sue parole, addirittura gli incontri con Allen Ginsberg e William Burroughs su cui, poi, si è costruita tanta mitologia, tutto il resto passa in second’ordine, sopraffatto dall’inarrestabile ambizione e dalla ferrea forza di volontà di questo ragazzo del Massachusetts che, in pochi anni, punta il numero giusto alla lotteria della vita e sbanca i più celebri intellettuali di New York e il grande pubblico d’America.
Il resto, l’uscita e il successo di On the road, la fama, la beat generation, è storia, anzi mito. Dietro cui resta, con questi diari, la scoperta del volto segreto di uno scrittore che conosceva le sue contraddizioni: «Scopro in me un profondo dualismo tra la solitudine, la moralità, l’umiltà, il rigore, il cristianesimo critico e il fascino, l’apertura mentale, lo slancio (o quantomeno il tentativo di buttarsi nelle cose), lo humour, il potere e la brama di conoscenza di Faust. Questi due generi di impulsi non smetteranno mai di agitarsi dentro di me, il che rappresenta un grande stimolo per farmi continuare a girovagare».
E resta, soprattutto, l’educazione letteraria, più ancora che sentimentale, di uno scrittore giovane, che, come tanti altri che si credono destinati all’appuntamento con il grande romanzo, sceglie come suo modello Dostoevskij, parla spesso con Dio, si considera investito di una missione speciale.

Ma che, a differenza degli altri, aveva, oltre al dono della parola, quel talento che solo i grandi artisti posseggono: una ferrea forza di volontà, l’unica capace di costringerlo, ogni giorno, a buttare giù quelle 1500, 200, 4000 parole che, insieme, alla fine, formeranno il grande romanzo di una generazione.

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