Cultura e Spettacoli

Kojève, l’enigmatico fan della tirannide

Nelle sue Memorie Raymond Aron ci ha lasciato un ritratto vivido e stupefacente di Alexandre Kojève, un pensatore entrato nel firmamento filosofico del Novecento per le sue lezioni sulla Fenomenologia dello spirito di Hegel, tenute negli anni Trenta alla Ecole pratique des Hautes Etudes: trascritte e pubblicate, quelle lezioni ebbero una enorme diffusione e conobbero un successo mondiale. La straordinaria personalità di Kojève era duplice, e direi quasi schizofrenica. Egli era nato a Mosca nel 1902 (il suo vero cognome era Kochevnikoff). Da giovane visse a Berlino, e poi, nel 1929, si trasferì a Parigi. I suoi interessi non erano solo filosofici, ma anche economico-finanziari: tanto che dopo la Seconda guerra mondiale non tornò alla vita accademica ed entrò al ministero degli Affari economici come collaboratore di Robert Marjolin. Qui raggiunse molto presto una posizione di spicco, e fino alla morte (1968) svolse un ruolo influente nella politica economica della Francia. Fu il principale artefice, da parte francese, del trattato del Gatt, e partecipò attivamente alla fondazione della Comunità economica europea. Ma la sua scelta della Francia come patria e la sua alta funzione nel ministero degli affari economici (assai apprezzata dal presidente Giscard d'Estaing) non attenuarono mai in lui le convinzioni marxiste. Si proclamava (racconta Aron, che lo conobbe e lo frequentò) «stalinista di stretta osservanza». «Che la Russia tinta di rosso - dice ancora Aron - fosse governata da dei bruti, la lingua involgarita, la cultura degradata, lui non lo negava affatto, in privato. Anzi, al contrario, all’occasione lo diceva come una cosa talmente evidente che solo gli imbecilli potevano ignorarla». Ciò però non diminuì il suo stalinismo (approvò anche la repressione sovietica della rivoluzione ungherese), convinto, marxisticamente, che la storia conducesse all'impero universale e omogeneo.
Le Edizioni Adelphi ci danno oggi un bellissimo volume, Sulla tirannide (pagg. 397, euro 48), che raccoglie i momenti fondamentali del dialogo filosofico che Kojève ebbe nel coro della sua vita con un grande pensatore del Novecento, Leo Strauss. Di origine israelitica anche Strauss, nato nel 1899 in Germania, aveva conosciuto Kojève a Berlino e si era legato a lui con un forte rapporto di amicizia, reso più intenso da un costante dialogo filosofico. Dialogo e amicizia che non vennero mai meno, anche quando, dopo un breve soggiorno a Parigi, dove Strauss ritrovò Kojève, il primo si trasferì negli Stati Uniti (nel 1938), dove diventò professore di filosofia politica all’Università di Chicago. Il carteggio fra i due filosofi, riprodotto in appendice a questo volume Sulla tirannide, è un documento prezioso del modo in cui due grandi personalità come Strauss e Kojève vissero i drammi e le tragedie del Novecento (il totalitarismo sovietico, il totalitarismo nazionalsocialista, la Seconda guerra mondiale, la guerra fredda, l’incubo atomico). A un certo punto il dialogo epistolare tra i due amici divenne così intenso, che essi decisero di pubblicare insieme un volume, che avrebbe raccolto un saggio di Strauss sulla tirannide, un saggio di Kojève di commento a quello di Strauss (Tirannide e saggezza), e una replica di Strauss.
L’amicizia e la stima reciproca fra i due filosofi non possono attenuare minimamente le loro profonde divergenze, e anzi in un certo senso le esaltano. Per Strauss il conflitto tra filosofia e società è inevitabile, perché la società si regge su una fede condivisa in credenze condivise, mentre la filosofia mette in dubbio (come faceva Socrate) ogni fede e ogni autorità; perciò la filosofia è essenzialmente scettica, e tale deve restare se vuole essere filosofia. Per Kojève, invece, il filosofo deve affrontare le contraddizioni della sua epoca, della società in cui vive, e «risolverle»: cioè deve trasformare la realtà e plasmarla secondo una precisa ideologia (quella marxista), per edificare un mondo in cui non ci siano più contraddizioni. Perciò per Kojève la filosofia non è in contrasto con la politica, ma è necessariamente politica.
Il contrasto, come si vede, non potrebbe essere più profondo. E sullo sfondo lampeggia sempre un dissenso ideologico-politico: Kojève difende le collettivizzazioni di Stalin e di Mao; Strauss, invece, ritiene che «la democrazia liberale o costituzionale si avvicina a ciò che i classici richiedono, più di ogni altra forma di governo attuabile nella nostra epoca». «In generale - scrive Strauss a Kojève - la mia reazione alle Sue affermazioni è che siamo agli antipodi. Il nocciolo della questione è, suppongo, lo stesso di sempre, cioè che Lei è convinto della verità di Hegel (Marx) e io no». Di qui la differente valutazione della tirannide: per Strauss essa è da combattere sempre e comunque («anche la tirannide migliore è pur sempre un governo senza leggi»); per Kojève, invece, essa è una fase necessaria della storia umana verso un futuro luminoso.

È inutile dire che la posizione di Kojève è del tutto insensata: ma a questa insensatezza avevano aderito Sartre (e gli illustri collaboratori della rivista Les temps modernes), Bloch, e tanti altri filosofi di grido, i quali avevano messo la filosofia al servizio del gulag, scrivendo una pagina assai oscura della cultura europea.

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