Cultura e Spettacoli

«L’adulazione? È un’arte a doppio taglio»

I potenti sanno quanto conti costruire e imporre il consenso. Dal mondo classico giunge una grande lezione sul tema. In Grecia e a Roma le maestranze del consenso erano poeti, letterati e oratori, specialisti della lode. Dicere laudes, «cantar le lodi» era la loro missione artistico-politica. Sofisticato strumento era la retorica, laboratorio della parola da cui uscirono modelli inossidabili al tempo: l’encomio, l’elogium, il panegirico, l’epitafio.
Un convegno a Cividale del Friuli chiama a raccolta i classicisti. Smonteranno lo scintillante prisma della lode al potente in greco e in latino (ma l’epoca esplorata si estende anche ai carolingi e alla Rinascenza). Ci sveleranno di che retorica grondi il consenso al trono, dai giorni dei signori della guerra e dell’oro micenei, che contavano sulla cetra degli aedi, accordata sulla fanfara eroica, alle zaffate d’incenso da cui si facevano ammantare grossi calibri come Augusto e Nerone. La retorica ammaliava come una magia. I più bravi riuscivano a impastare nel miele, mimetizzata, la critica costruttiva al sovrano, che l’apprezzava; altri ricamavano funamboliche lodi per legittimare un odioso tiranno. Antiche sono le fonti d’informazione e i testi. Ma lo sguardo resta all’oggi, secondo lo spirito consolidato del convegno. Sgranare i meccanismi classici dà un metodo, per smascherare i pifferai attuali, con i loro flautini nei vicoli della politica.
Per entrare nel vivo, interpelliamo il Prof. Gianpiero Rosati, latinista dell’Università di Udine, colui che ha proposto al Comitato Scientifico del convegno il tema di questa sessione.
Prof. Rosati, oggi si tende a svalutare il classico rispetto ad altri saperi. Il convegno canta fuori dal coro: che cosa ci insegnano gli antichi su potere e consenso?
«Ci insegnano proprio che certi temi ritornano anche in epoche e contesti culturali molto diversi, e che certe dinamiche nei rapporti di scrittori e artisti col potere politico sono fenomeni ricorrenti: ci insegnano cioè che, proprio per essere oggi cittadini più consapevoli, conviene conoscere i modi in cui le società antiche hanno affrontato quei temi e le risposte, spesso molto sofisticate, che su di essi hanno elaborato».
La retorica qui la fa da padrona. Le sue «figure» - l’iperbole, il paragone con i personaggi esemplari della mitologia, la «parata degli eroi», l’oggi presentato come «età dell’oro» - modellano la lode al potente. Tutta anticaglia, o materiale che, magari sotto mentite spoglie, si ricicla ancora oggi da parte di chi fa la corte ai potenti di turno?
«In un tipo di letteratura come quella encomiastico-panegiristica, la retorica dell’amplificazione è fondamentale, è la grammatica di questo linguaggio artefatto (come è generalmente il linguaggio con cui il potere parla di sé), che ha così spesso prodotto un atteggiamento di rigetto in quanto espressione di servile acquiescenza dei letterati. E invece decifrare questo linguaggio nei suoi elementi costitutivi ci aiuta a capire quanto di esso viene appunto riciclato nel lessico politico dei nostri giorni. D’altra parte l’uso astuto della retorica permette agli scrittori antichi di esprimere anche un messaggio più complesso, problematico o perfino critico, dietro la facciata di testi che non possono se non “parlar bene” del loro oggetto: si può cioè esercitare un controllo e un condizionamento del potere anche se si è costretti a parlarne solo bene. Esplorare dunque i segreti della retorica può rivelare anche ciò che un testo non dice se non per via indiretta o allusiva. C’è una frase famosa di Gibbon, il grande storico della decadenza di Roma, secondo cui “si può spesso sapere la verità anche dal linguaggio dell’adulazione”».
Sport e potere. Come si faceva, ai tempi di Pindaro e di Bacchilide, a incensare un potente grazie alla vittoria in una competizione internazionale eccellente?
«Per quei poeti lo sport era ben altra cosa che per noi oggi, e la vittoria era solo il segno della grandezza morale di chi la otteneva, e dunque l’occasione per celebrarne le origini, la famiglia con le sue tradizioni e i valori propri dei committenti aristocratici, che erano spesso anche importanti figure politiche».
Elogiare il tiranno: è davvero dura, in comunità che storcevano il naso solo a sentir pronunciare la parola. Eppure ci provarono poeti e intellettuali che fecero quadrare il cerchio. Quali furono le loro scelte tecniche?
«Una sfida molto stimolante per chi studia la letteratura encomiastica e panegiristica sta proprio nel vedere come la difficoltà del compito costringe scrittori e artisti a elaborare strumenti intellettuali molto sofisticati. È noto del resto che i regimi politici in cui non c’è libertà di parola costringono spesso gli artisti a inventare modalità espressive in grado di eludere il controllo e la repressione del potere, o comunque di non diventarne semplici portavoce».
I laudatores di Augusto imperatore ne esaltavano la pax. Tacito, però, ci informa che quella «pace» era una facciata, un mortale ristagno, la tomba di ogni libertà a favore di un solo padrone. Chi la raccontava più giusta?
«Tutti e due i punti di vista contengono una parte di verità, che per di più cambia anche nel tempo: l’Augusto degli inizi del suo lunghissimo principato, e che mette fine alla tragedia delle guerre civili (diventando, anche grazie a una massiccia azione di propaganda, un modello di “imperatore buono”), è diverso da quello cupo e accentratore degli ultimi anni».
Parliamo di Nerone, futuristica star della politica-spettacolo. I suoi fan, come quelli di Elvis Presley, lo davano per redivivo. Cantautore, showman, driver, palazzinaro con la sua Casa Dorata nel cuore di Roma caput mundi. Erano i puri eccessi di una mente malata, o le strategie per la costruzione di un consenso della gente intorno all’imperatore?
«Nerone indubbiamente affascina: è uomo di eccessi, in ogni campo, e ha anche ambizioni artistiche, guarda alla grande cultura greca. Il revisionismo pro-neroniano (come di altri tiranni, a esempio Domiziano) vuole correggere la tradizione compattamente ostile, filo-senatoria, delle fonti storiografiche; può certamente accadere che, come in molti altri casi, la revisione si spinga troppo lontano. I suoi eccessi erano anche il frutto di grandi ambizioni intellettuali, di una mente visionaria che si ispirava al modello assolutistico delle monarchie orientali: il clima edonistico del suo stile di governo, con elargizione di feste, spettacoli e donativi alimentari alla plebe urbana, suscitava un vasto consenso popolare».
Uno studente che segua il vostro convegno, quale bonus conoscitivo ne potrà trarre?
«Potrà essere più smaliziato di fronte al linguaggio politico dei nostri giorni, di cui riconoscerà schemi e clichés abusati, e capire che la pratica del potere, di ogni potere (che tende a conservare se stesso) comporta atteggiamenti analoghi: si auto-celebra, cerca il consenso presentandosi come una nuova età dell’oro; e naturalmente trova i suoi aedi, più o meno interessati e non sempre attenti a preservare una propria dignità.

È, per tornare alla domanda iniziale, lo “sguardo lungo” che i classici sanno dare».

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