Politica

L’analisi Sinistra felice solo se dipinge catastrofi

Ne hanno scoperta un’altra: «Ma adesso che la tempesta finanziaria s’è trasferita all’economia reale, le famiglie italiane si ritrovano col portafoglio vuoto già a metà mese». Con questa precarissima scoperta, la Repubblica di ieri riconforta le anime in ansia di una sinistra che si sente meglio solamente quando ironizza o tragicizza. Dunque si sente beata d’aver guadagnato una settimana di magra ulteriore per cui lamentarsi; ma poco ragionando. Perché dalla così malaccorta ricerca della Confesercenti, si deduce una verità stravolta. Infatti, che il 9 per cento delle famiglie non arrivi oltre metà mese corrisponde più o meno al già risaputo tasso di povertà, che lo si sa, in Campania e in Sicilia oscilla ben oltre. Fotografa in altri termini quei poveri a cui sta pensando il governo. Altra cosa invece, in un difetto di zelo, è lasciar intendere che due milioni di famiglie siano divenute povere per la recente crisi. Non meno fuori misura è stato peraltro l’economista Francesco Giavazzi che in Tv, sdegnato, coi capelli elettrici, s’è lamentato: che il governo non stia usando il superbo sapere degli economisti. Come se in questo cupo mestiere fossero da comprendersi solo se stesso e gli amici suoi, per cui il liberismo sarebbe di sinistra. Pure lui sdegnato poi da un’altra tragicomica scoperta: che Tremonti voglia rispettare i conti prestabiliti, non si contraddica, e dissenta da quella perversione finita male che è stato il prevalere della finanza americana. La qual cosa pure lei ci conferma in una certezza: alla vanità ferita di economisti in desiderio di dare consigli, ma mai al di sopra delle parti, come ai titoli tragici, è meglio non badare. I consigli migliori il governo fa bene a chiederli ad altri. E semmai se li potrebbe dare già da solo. Basterebbe usare sul serio l’idea meritoria di una economia sociale di mercato. Se significa qualcosa, essa implica il sano principio che meglio dei sussidi in denaro serva la creazione di nessi solidali, mutualistici, comunitari; e che su di essi occorra investire. Per esempio si è scritto molto di badanti, mestiere ormai ambito pure dalle italiane, e per il quale però si sono riaperti i flussi. Ma non sarebbe meglio inquadrare altrimenti l’assistenza degli anziani più gravi? Ad esempio con delle soluzioni collettive, che favorissero il mutualismo così da non lasciare le famiglie sole? Basterebbe in effetti di convertire i patrimoni pubblici di cui c’è eccesso, in dote degli anziani malati o bisognosi di cure, con le quali nutrire onlus, mutue, fondazioni. Una forma per non individualizzare, creare invece un sano agire pubblico che il risparmio privato e magari forme di conversione del debito potrebbero anche integrare. Sarebbe una soluzione socialissima, ma non un’altra prebenda che genera tasse. Altro esempio: perché non detassare le aziende, se diminuiscono la spesa statale scolastica, costruendo asili, finanziando scuole, università? Una idea alla Olivetti che sarebbe piaciuta alla Weil per la quale la gerarchia vera dei rapporti di produzione non era quella del Pil o marxista. Una maniera per dare, tra l’altro, un movente al lavoratore, e all’impresa, diverso dal solo interesse privato. E in un ulteriore esempio: sarebbe confortante sapere che la Bce non riferisca più, come ha fatto finora, i suoi tassi solo ai prezzi al consumo. Ma pure ai prezzi dell’attività o di Borsa: maniera per contenere la speculazione, e i suoi esiti. E argomento anch’esso di un dibattito colto, molto liberale, ma che l’incultura presente della sinistra, e le sue monomanie tragiche sempre in esubero, non riescono purtroppo a immaginare.

Un vero peccato.

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