Politica

L’anomalia dei pubblici ministeri che si rivolgono al governo

Con sollievo - istituzionale e psicologico - si apprende che il presidente del Consiglio Berlusconi non è indagato per le stragi dei primi anni novanta dalla Procura di Firenze. Tuttavia, nonostante il sollievo, rimane un motivo di forte perplessità, dovuto non solo al fatto in sé, cioè all’assurda circostanza che un capo di governo regolarmente eletto possa essere accusato di reati tanto gravi, ma anche al modo in cui queste notizie sono state portate all’attenzione dell’opinione pubblica, vale a dire per mezzo di un comunicato del procuratore della Repubblica di Firenze.
Tutto bene, si dirà. Ed invece non è proprio così: infatti, rimane da chiedersi per qual motivo mai il capo del governo, e con lui tutte le alte cariche dello Stato o del governo, perpetuino la cattiva abitudine di accettare quale proprio interlocutore chi, come un procuratore della Repubblica, non rappresenta per nulla e in alcun modo il vertice degli uffici giudiziari ove pure si trova a prestare servizio.
Intendo dire che non si comprende in virtù di quale titolo di legittimazione un magistrato che non esprime il vertice di un’istituzione debba normalmente interloquire con chi invece di tutte le istituzioni rappresenta invece il culmine (capo del governo o capo dello Stato).
Il discorso varrebbe ovviamente per ogni tipo di istituzione (la Regione o l’ultimo dei Comuni), ma certo acquista particolare significato quando si tratti dei rapporti fra magistratura e organi di governo.
È infatti del tutto evidente come lasciare che si possa instaurare normalmente un’interlocuzione fra un ministro di Grazia e Giustizia (o il capo del governo), da un lato, e un Procuratore o anche con il presidente del Tribunale, dall’altro, significa di sicuro attribuire a questi ultimi un’implicita legittimazione politica che li pone sul medesimo piano dei soggetti con cui costoro interloquiscono.
Chi allora dovrebbe poter rispondere o comunque relazionarsi ufficialmente con le più alte cariche politiche?
Soltanto il presidente della Corte d’appello, quale più alta carica nel distretto giudiziario, è in realtà legittimato a svolgere questa delicata funzione: si tratta di una verità ovvia, perfino elementare. Nulla di diverso accade, per esempio, se si tratti di far relazionare il direttore di un grande quotidiano nazionale con un qualunque redattore di un altro giornale: forse che questi, sollevando il ricevitore, potrà parlare, come e quando voglia, con quel direttore? Vi assicuro di no: questi lo potrà solo col suo pari grado (a meno che non sia amico personale del direttore).
È insomma normale grammatica istituzionale, che purtroppo in Italia è del tutto sconosciuta. Ma è anche portatrice di confusione e di pericoli.
E sono la confusione e i pericoli che nascono dal permettere che chi non rappresenti il vertice della magistratura si comporti invece come se lo fosse, conquistando sul campo lo spazio di una soggettività politica e istituzionale che invece non gli compete.


Di questi errori si piangono le conseguenze.

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