Cultura e Spettacoli

L’epopea intellettuale del mitico Caffè Aragno

Al civico 180 di Palazzo Malagnoli a via del Corso, a Roma, oggi ci sono le grandi vetrine di Spizzico. C’è stata un’epoca, invece, in cui quei locali facevano parte del celebre Caffè Aragno. Da Ardengo Soffici a Emilio Cecchi, da Mario Broglio a Roberto Longhi, il meglio della nostra classe intellettuale del primo ’900 fece di quel locale il salotto buono della città. La storia del Caffè Aragno è già consegnata alla memoria dei posteri in numerosi libri e documenti. La vita della sua ultima stagione, però, pulsa ancora nei ricordi dell’architetto Giorgio Senise. Così nasce Ci vediamo da Aragno (Palombi editori). L’allora giovane studente di Architettura ha voluto, a quasi sessant’anni di distanza, ripercorrere quei momenti per lasciare una traccia della loro importanza. Si ritrovano tra queste pagine Giuseppe Bottai, che non metteva piede nei locali di via del Corso, ma del quale si parlava spesso e a proposito, visto che uno dei suoi più stretti collaboratori, Nino D’Aroma, aggiornava i colleghi giornalisti sui «contatti» che animavano la casa romana dell’ex ministro fascista. C’era Eros Belloni, fra le penne più lucide del Ventennio, il quale per sbarcare il lunario si era adattato a scrivere i dialoghi per Topolino. C’erano Irene Brin e Novella Parigini. Nelle pagine del libro compare Giorgio De Chirico, di cui Senise fu anche committente. Il Pictor Optimus era troppo pigro per affrontare l’impresa di arrivare da Aragno. Si limitava ad attraversare piazza di Spagna e a sedersi in una delle salette più appartate del Caffè Greco di via dei Condotti.
Ghiotte le ricostruzioni degli ambienti, dei personaggi più caratteristici da Gianfranco Alliata principe di Monreale, a Giulio Caradonna, da Giancarlo Fusco a Vittorio Sbardella, allora tutt’altro che «squalo», bensì giovane e allampanato tanto da meritarsi l’appellativo di «Chiodo». Nella terza saletta (quella più interna e più prestigiosa) si parlava spesso di politica. Ma per menare le mani non si disonoravano mai gli ambienti del caffè e si preferiva spostarsi in Galleria Colonna dove c’era più spazio. E intanto era nelle salette del civico 180 che i giornalisti di razza andavano per cercare notizie.

Perché era lì che il mondo dei fatti riceveva il battesimo dei commenti più audaci e arguti.

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