L’eterno lamento della Resistenza tradita

Giorgio Napolitano celebrando dall’isola di Cefalonia la Liberazione, ha parlato di «una festa di tutti gli italiani», e questa è e deve essere la festa della ritrovata libertà. In Italia però, e non è la prima volta che accade, e accade proprio nelle ricorrenze del 25 aprile, le cose sono andate in modo diverso. Gli ultrà della sinistra massimalista, no-global, centri sociali, gli spezzoni di un estremismo in alcuni gruppi confinante con gli epigoni del terrorismo, gruppi scesi in piazza per reclamare la liberazione degli arrestati dello scorso febbraio, sono riusciti ancora una volta a guastare la festa. Ci sono stati, come l’anno scorso, i fischi al sindaco Moratti, e questa volta si sono aggiunti quelli a Fausto Bertinotti, presente sullo stesso palco ma col quale i conti negli ultimi tempi sembrano aperti. Festa rovinata anche a Genova ove ad essere preso di mira è stato il sindaco di Bologna Cofferati, colpevole di qualche debole reazione all’estremismo presente e aggressivo nella sua città. Nel mirino, insomma, c’è una sinistra accusata di tradire le speranze, i miti e tutto ciò che mulina nella testa della sinistra più arrabbiata in questi tempi.
Gli italiani, o una parte di essi, non sono stati mai generosi con la loro Storia. Dopo l’Unità d’Italia non sono stati pochi gli intellettuali che hanno visto nel Risorgimento un processo incompiuto e peggio, una mera operazione coloniale della monarchia sabauda. La grande guerra del ’15-18 venne seguita da una lunga e velenosa polemica sulla «vittoria mutilata», questa volta ad opera della estrema destra che si esercitò nella avventura di Fiume, ove Gabriele D’Annunzio fondò una Repubblica del Carnaro, un po’ rivoluzione, un po’ spettacolo che si fa politica. E fu solo l’inizio che ci portò dritti alla dittatura. Ma anche la rivoluzione fascista annoverò fra gli entusiasti i futuri oppositori, che contestarono al massimalista Mussolini l’abbandono delle idee di pochi anni prima. Lo squadrista Arpinati fu per questo spedito al confino nel 1931, e non fu il solo.
Le manifestazioni del 25 aprile si rifanno a un altro slogan, nato dopo la fine dell’ultima guerra, sulla «Resistenza tradita». Una tale convinzione, alla quale non furono estranei i delitti dell’immediato dopoguerra, nacque già in una parte della componente comunista che visse la Resistenza come un processo rivoluzionario. In essa ci fu chi vide più che la riconquista della libertà l’avvio di una rivoluzione che riesumò il motto del primo dopoguerra: «Facciamo come in Russia», e quelli che oggi protestano lo sappiano o no si richiamano a quelle idee.
Ma l’accusa di tradimento della attuale sinistra sarebbe anche quella di non fare abbastanza per un’altra rivoluzione, supposta o immaginata proprio dall’avvento di partiti comunisti o post o neo al governo. Non piace la attuale pratica di ministri e sottosegretari accusati di cedere alla presenza dei «poteri forti», delle «forze oscure della reazione in agguato», come avrebbe detto il buon Nenni in versione frontista. La contestazione del «guerrafondaio Bertinotti», già esplosa all’Università di Roma, è la reazione di una sinistra un po’ talebana al voto per la presenza dei nostri soldati in Afghanistan, voto pagato, per i delusi, con la presenza al governo e alle sue pompe.
Galli della Loggia si stupisce per un fenomeno eversivo che sembra non avere fine, e che ormai riguarda, in Europa, solo l’Italia. Il ministro dell’Interno Amato a sua volta si preoccupa «per la sopravvivenza di miti che riescono a coinvolgere chi oggi ha venti anni». Ora in verità da un intellettuale come Galli che conosce la storia della sinistra si vorrebbe sapere di più. E soprattutto da un ministro che ha dalla sua strumenti per capire. E che poi della sinistra, nelle sue diverse componenti, è parte. E che sta anche insieme nello stesso governo.
a.

gismondi@tin.it

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