Politica

L’ "invenzione" del proporzionale

C’è qualcosa di singolare nel destino delle azioni politiche intraprese da Berlusconi dal 1994. La storia probabilmente gli renderà grande merito per ciò che lui stesso, forse, seguita a tenere in poco conto: la trasformazione istituzionale del regime politico italiano, compresa l’evoluzione di quelle leggi elettorali che considera, a torto, come un accessorio della battaglia politica.
Anche l’improvvisa proposta di ripristinare la proporzionale con una soglia di sbarramento, se non resterà come altri progetti una esercitazione accademica, produrrà un terremoto sull’intera architettura politica, provocando l’uscita da quel «bipolarismo bastardo» che ha dominato nelle ultime quattro legislature. Si tratterà certo di vedere quale legge elettorale verrà effettivamente fuori, e che comportamenti politico-elettorali adotteranno le forze in gioco in risposta alle nuove regole: è però certo che il panorama politico ne sarà sconvolto.
Che cosa non ha funzionato nello zoppicante bipolarismo? In primo luogo la camicia di forza di alleanze elettorali innaturali formate per strappare il premio di maggioranza; e quindi l’esplosione dei ricatti delle forze anche minime rispetto alla coalizione, specie nel caso di responsabilità governative. L’alternanza e il bipolarismo hanno sì reso compiuta la democrazia italiana rimasta per cinquant’anni senza ricambio, ma la nuova situazione è stata minata dalle tante piccole spade di Damocle dei piccoli partiti che sono cresciute dentro le coalizioni.
All’inizio il Cavaliere provocò un concreto bipolarismo, avendo probabilmente solo l’intenzione di battere i post-comunisti. Oggi, se va avanti il suo progetto proporzionale con l’aggiunta di uno solido sbarramento, si dovrebbe mettere in moto, nei fatti, un’altra radicale riforma istituzionale non iscritta nelle norme costituzionali, ma fatta vivere nella concreta dialettica politica.
Sorge il dubbio che nella politica berlusconiana vi sia una specie di eterogenesi dei fini. O si tratta piuttosto di intuito pratico-politico che fa diventare il Cavaliere un insospettato riformatore istituzionale? Poco importa giungere a una definizione appropriata a cui penseranno in futuro gli storici. Oggi c’è solo da capire che il meccanismo elettorale proposto potrebbe causare alcuni effetti importanti. Il primo è l’eliminazione della frammentazione partitica - il male cronico dell’Italia - se davvero si terrà ferma la barra al 5 per cento, o si introdurranno piccole circoscrizioni elettorali (alla spagnola) senza recupero nazionale, cosa che può produrre un risultato analogo.
Il secondo effetto è la fine delle coalizioni forzose. Anche questo è singolare. Berlusconi nei primi anni ’90, sdoganando Alleanza nazionale (ricordate Fini candidato sindaco di Roma?) e la Lega bossiana (ricordate le alleanze variabili tra Nord e Sud?), impose il ridisegno del sistema politico sulla base delle alleanze contrapposte. Oggi si vuole infrangere quello che era stato creato allora, con un istinto pragmatico che si indirizza contro quel che ha dato cattiva prova.
La terza riforma riguarda la designazione del premier, che per anni tutti avremmo voluto iscritta nella Costituzione e che, nelle ultime tornate elettorali, è entrata di soppiatto sulla scheda. Ora, con la nuova proposta, la premiership dovrebbe essere attribuita al leader che ottiene più voti, senza alleanze preventive. In tutti i sistemi occidentali l’esecutivo si è rafforzato attraverso una qualche forma di legittimazione popolare. In Italia, invece, il primo ministro resta debole per il ricatto interno alle coalizioni. Con le alleanze stipulate volontariamente dopo, e non coercitivamente prima del voto, si può ipotizzare che le cose funzionino meglio.
In definitiva si è di fronte a una scommessa decisiva, pur se con tanti se. Innanzitutto se l’idea berlusconiana va avanti; e poi se la legge elettorale si configura per ottenere gli effetti voluti; se si è disposti a rimettere tutto in ballo a riforma concordata; e se non vi sarà l’ostruzionismo di quei gruppuscoli che dovranno necessariamente scomparire. Detto ciò, occorre tenere conto di un altro aspetto molto più impalpabile. Il mutamento dei regimi politici funziona quando va di pari passo con l’adeguamento delle culture politiche dei principali protagonisti senza il quale tutto rischia di restare molto fragile.
m.

teodori@mclink.it

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