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L’ Israele che piace al mondo arabo: quello dei siti porno

E a Las Vegas gli sceicchi di Dubai comprano la mecca del gioco d’azzardo

«Stasera famolo strano. O meglio famolo profano». È la nuova pruriginosa parola d’ordine di tanti argonauti del sesso iraniani, sauditi, egiziani. A casa loro, si sa, il sesso telematico non abbonda, ma se sospettate che le strade del vizio li trascinino nei boccacceschi villaggi virtuali d’Europa o Stati Uniti vi sbagliate di grosso. Il vizio, si sa, non ha religione, e dunque eccoli i nostri pornofili mediorientali pronti a infilarsi nel letto del nemico. E che nemico. Non l’America del Grande Satana, ma l’Israele più scostumato, quello dei siti porno in ebraico e dei film a luci rosse con le soldatesse stile Lando Buzzanca anni Settanta.
A raccontarlo non sono le voci della disinformazione del Mossad, ma Nir Shahar, vera gola profonda del sesso virtuale israeliano, signore indiscusso dei più frequentati siti erotici per pubblico circonciso. E visto che l’usanza accomuna i due popoli, perché scandalizzarsi? Lui ne va quasi fiero. «I nostri server non mentono, migliaia di nostri utenti si collegano da Stati musulmani con i quali non abbiamo neppure relazioni diplomatiche - racconta in un’intervista a Yedioth Ahronot, il più diffuso quotidiano israeliano in lingua ebraica -. E per non lasciar dubbi aggiunge che i contatti provenienti da Iran, Arabia Saudita, Irak ed Egitto sono almeno il dieci per cento dei peccaminosi e profittevoli colpi di mouse registrati dai suoi siti. Ma se in Arabia Saudita è già un’impresa superare le blindate barriere cibernetiche imposte dalla censura wahabita a chi voglia sbirciare un sito israeliano perché fare tanta fatica? E soprattutto perché correre tanti rischi? Difficile capirlo. In posti come l’Iran - dove l’accesso ai siti israeliani non è strettamente proibito - la mancanza in lingua ebraica del suffisso «.sex» facilita, forse, il superamento di un ostacolo altrimenti insormontabile. Ma perché tentare dall’Irak, dove la navigazione resta fuori controllo per curdi, sciiti e sunniti? La spiegazione anche stavolta arriva dall’esperto Nir Sahar. Il quale ricorda la preferenza di tanti clienti virtual-musulmani per le foto e i filmati di soldatesse ebree in lattice e frustino. Roba seria, con titoli tipo «Nome in codice: investigazione profonda». «Dopo averli visti, tanti arabi o palestinesi ci scrivono di avere molto gradito il genere». La vendetta degli eterni sconfitti, l’infinito risentimento verso lo Stato carnefice dei palestinesi si consumerebbe, insomma, negli spasmi solitari davanti al tremolio bluastro di quelle nemiche trasformate in schiave virtuali. E poco importa che siano attrici o semplici comparse, come spiega Shahar, perché dall’altra parte del server piace così: difficile, perverso e un po’ maso-profano.
Che l’abito non faccia l’imam lo fanno capire anche gli sceicchi del Dubai. Nell’Emirato, già trasformato in una lussuosa Disneyland del Medio Oriente, il morigerato islam non frena guadagni né investimenti. La prima a dare l’esempio è la «Dubai World», la finanziaria di Stato pronta al grande salto nell’universo dei giochi d’azzardo di Las Vegas. Grazie a un investimento da cinque miliardi di dollari, acquisterà poco meno del dieci per cento della Mgm Mirage, la multinazionale del gioco d’azzardo proprietaria di un terzo dei casinò e di metà delle camere d’hotel di Las Vegas.

Perché se verso la Mecca si prega, dalle parti di Las Vegas si guadagna.

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