L’Italia in mutande (ma al mare)

L’Italia in mutande (ma al mare)

Turi Vasile

Di ritorno dalla campagna delle Gallie comprensive di Bruxelles, il primo pensiero di Prodi fu di correre dal capo dello Stato per dirgli, come egli stesso unilateralmente rivelò: «Presidente, ho trovato gli italiani allo stremo, per miseria e per fame». Erano i giorni prossimi al Natale e le strade apparivano congestionate da file di macchine strombazzanti, i cui guidatori erano forse impazienti di assicurarsi sui sagrati delle chiese un posto da dove stendere la mano per l’elemosina. Invece che la cometa annunciatrice della Buona Novella, sul cielo d’Italia era apparso l’uccellaccio del malaugurio a cui si accodarono corvi della stessa nidiata. Si capì subito quali sarebbero state la strategia e la tattica con cui Prodi, invece che al riposo del guerriero, voleva dedicarsi nella sua campagna elettorale intesa a terrorizzare gli italiani e ad attirarli a sé. Pare che lo abbia consigliato a tanto un qualche persuasore occulto d’Oltreoceano specializzato in materia, per disporre di un diversivo che lo esentasse dal presentare un programma in via di elaborazione nella fabrichèta vicino a casa. Questo programma, intessuto come tela di Penelope, lo conosceremo probabilmente a elezioni avvenute; ma Cofferati ha anticipato proprio a Bologna quale sarebbe il futuro governato da loro.
Negare che la congiuntura economica in cui l’Italia ha altri compagni in Europa è grave, sarebbe falsità irresponsabile; ma tendenzioso e falso è il ritornello che il Paese è ormai alla Caporetto della miseria. Io non ho dottrina né sufficiente cultura per motivare tecnicamente un parere diverso, se non opposto; non sono esperto in economia che tra l’altro mi pare scienza inesatta dal momento che si contraddice così spesso. Ho solo da offrire la testimonianza diretta, vissuta, sofferta di un appartenente alla generazione degli anni Venti per assicurare che in meno di un secolo l’Italia ha compiuto passi incredibilmente giganteschi e irreversibili sulla via del benessere e che ha raggiunto, talvolta superato, Paesi di antica e consolidata unità nazionale. Mio nonno era uno di quei braccianti che si offrivano all’alba sulla piazza di Lentini in una specie di asta al ribasso. Io stesso ricordo di aver visto con i miei occhi di bambino la tristezza di chi rincasava per non aver ottenuto l’ingaggio sebbene fosse stato disposto ad accettare un basso compenso.
Per raccontare quello che ho visto da allora non basterebbero tutte le colonne di questo giornale. Garantisco però che il riscatto è stato costante e anche rapido, al di fuori di ogni avvicendamento politico e governativo. Il merito va al popolo che per virtù propria è riuscito a raggiungere un livello di vita, persino oggi viziato. Le nostre esigenze si sono progressivamente rivelate senza limiti e ci hanno spesso portato a pericolose dipendenze. Questa proliferazione eccessiva non ha bisogno della testimonianza di chi viene da lontano: le case, anche le baracche degli abusivi, si sono subito coperte di selve di antenne televisive, gli elettrodomestici di tutti i generi ottenuti a prezzi sempre più bassi hanno invaso gli spazi domestici; senza automobili, computer e cellulari parrebbe che non possiamo più vivere. I giovani sono insaziabili nell’aspirare a nuove comodità e ottenendole evidentemente se le possono permettere. Questo è in un certo senso il destino dei parvenu.
Voglio dire con ciò che i poveri non esistono? Niente affatto; solo che il loro livello si è innalzato consentendogli l’esempio della dignità e del riserbo. Si tratta di gran parte del ceto medio, dei dipendenti a reddito fisso, degli impiegati, insegnanti inclusi, privi della possibilità di disporre di più stipendi in una famiglia. Sono in genere quelli esclusi dalla dilagante economia sommersa che invece consente, per esempio all’idraulico, di passare le ferie non a Ostia ma a Città del Messico dove tornerà quest’anno. Ai miei tempi Maldive, Seychelles, Bahamas, Canarie eccetera erano solo macchie di colori sugli atlanti scolastici; noi andavamo nelle vicine spiagge libere e forse, senza saperlo, eravamo più felici.
Se oggi un alieno o outsider guardasse la nostra televisione, invece di vedervi le stampelle illustrate da The Economist per perversa assimilazione modale ai nostri disfattisti, vedrebbe lidi elegantemente affollati, transatlantici bellissimi accessibili a tutti in inclusive tour, manicaretti ammanniti a profusione sui piccoli schermi di tutte le reti, piogge di euro su chi, nei quiz, dimostra di avere un modesto livello culturale e spesso anche su chi non ne ha affatto. Avrebbe la sensazione, l’outsider, di un popolo mangione, dedito al pettegolezzo invano battezzato gossip, sfrontato esibizionista della propria privacy. Altro che la catastrofe descritta al presidente Ciampi dall’interessato reduce. Si tratta invece di moderare ed educare la nostra «ricchezza» che esiste, che c’è, sia pure un po’ troppo spensierata. Questo dovrebbe essere l’impegno concorde e comune sul piano etico pari a quello indicato dal capo dello Stato sul piano economico e industriale. Perseveri pure Prodi, se vuole, nel ruolo dello iettatore.

Dal mio piccolissimo e ininfluente angolo, mi auguro con tutte le forze che porti sfortuna solo a lui e salvi il nostro popolo.

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