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L’Oms: «I morti? Non portano le epidemie»

Il disastro, le strade coperte di morti e la corsa a portare gli aiuti. Nell’emergenza di Haiti, c’è spazio anche per un dibattito che divide i medici. La linea dettata dall’Onu sostiene che raccogliere i morti non è la priorità, rispetto ad altre emergenze (prima tra tutte, è ovvio, la ricerca di superstiti): secondo gli esperti dell’Onu, infatti, i cadaveri all’aperto non portano al rischio di epidemie.
Tutti d’accordo? Niente affatto. Senza mettere in discussione l’urgenza della ricerca di chi è ancora in vita, secondo Mauro Moroni, infettivologo dell’università di Milano, prima di escludere rischi legati alla presenza di corpi senza vita per le strade, occorrerebbe «vedere quanti sono e in che condizioni, verificare la disponibilità di acqua e cibo sicuro. Insomma, è necessaria una valutazione complessiva della situazione perché, se è vero che un cadavere non è fonte di epidemie, è altrettanto vero che un cadavere in decomposizione contamina la falda acquifera, può essere preda di animali e con il clima molto caldo imputridirsi».
Di altro avviso è Piero Calvi Parisetti, consulente dell’Onu e docente all’Ispi di Milano in Emergenze e aiuti umanitari. In un’intervista rilasciata al Riformista, il docente sostiene che «quello delle epidemia è uno spettro che si ripresenta puntualmente dopo ogni catastrofe, nonostante quanto dichiarato più volte dall’Organizzazione mondiale della sanità. All’Oms spiegano ormai da anni che “dead bodies don’t kill” (i corpi morti non uccidono), perché all’interno di un cadavere non germinano fattori patogeni che possano scatenare epidemie. Credere il contrario significa fare interventi che non bisogna fare: le sepolture di massa sono prima di tutto inutili e poi mortificanti della dignità umana».
Sulla stessa lunghezza d’onda è Gianfranco De Maio, responsabile medico di Medici Senza Frontiere Italia: «I cadaveri per le strade non possono originare infezioni. Naturalmente i corpi devono essere recuperati, ma più per motivi psicologici. In termini sanitari, alcuni cadaveri possono essere vettori di batteri che possono provocare diarree, ma senza potenziale epidemico dirompente». Sono invece da considerare seriamente «i pericoli dell’assunzione di cibo contaminato, attraverso patologie a contagio oro-fecale: salmonellosi e dissenteria bacillare, potenzialmente mortali, ma a diffusione limitata». Quindi, nessun allarmismo, insiste l’esperto. «La vera emergenza – aggiunge – è il numero enorme di sopravvissuti con traumi importanti».
Quanto al rischio colera, il medico conclude: «Il pericolo esiste ad Haiti anche in condizioni normali, vista la precarietà dei servizi urbani concernenti acqua e rifiuti». Ma da anni non si registra un caso e «senza portatori non possono esserci casi di contagio». Infine un’esortazione: «La situazione è tragica, ma bisogna evitare gli allarmismi e la superficialità».
In casa nostra non sono tutti d’accordo. «La situazione igienico sanitaria potrebbe precipitare da un momento all’altro – affermano gli esperti della Società italiana di Igiene (SitI) - se non vengono prese misure immediate». Lo sottolinea Francesco Blangiardi, Presidente della SitI, ricordando che il primo e più importante presidio di protezione della popolazione è l’acqua potabile «sia dal punto di vista alimentare sia, soprattutto, dal punto di vista dell’igiene». Il piano di assistenza sanitaria, secondo il presidente SitI, dovrebbe avere come obiettivo da una parte il soccorso ai politraumatizzati e dall’altro le iniziative utili «a contrastare patologie che potrebbero registrare pericolosi incrementi attraverso la trasmissione fecale o orale di germi e batteri».
La paura di certo c’è. Per l’ambasciatore di Haiti presso la Santa Sede, Carl Henri Guiteau, «il rischio di epidemie è reale, ci sono tanti cadaveri nelle strade e feriti.

Tra gli aiuti internazionali è previsto infatti anche l’arrivo di celle frigorifere per i cadaveri».

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