Europee 2009

L’ultima di Franceschini, un ticket con D’Alema per non farsi cacciare

Il segretario reggente spera di raggranellare almeno il 28% grazie ai voti dell’ex premier, a cui affiderebbe la presidenza

Roma L’invito al voto Pd, Repubblica lo ha affidato ieri alla firma del padre nobile, Eugenio Scalfari. Non proprio un appello esaltante, quasi un «turatevi il naso» di montanelliana memoria: «In un sistema democratico occorre raccogliere i consensi attorno alla forza politica che rappresenta il meno peggio nel panorama dei partiti in campo. La ricerca del meglio porta inevitabilmente al frazionamento».
Niente dispersione tra dipietristi, arcobaleni, sinistre varie e radicali: rassegnatevi a votare «il meno peggio» perché è necessario fare «massa critica» contro il Cavaliere. È l’ultima mano che il quotidiano di Ezio Mauro dà al Pd, al termine di una campagna elettorale in cui è stata Repubblica a menare le danze, dando la linea della «questione morale», presto sposata da Dario Franceschini. Campagna che ha già avuto un primo effetto interessante, per il Pd: quello di mettere in ombra il competitor più temuto, Tonino Di Pietro, desaparecido dalle pagine di Repubblica.
Ora la parola è alle urne, e nessuno si azzarda ad anticiparne il responso. «Ogni percentuale del Pd ha il suo scenario», titolava ieri sul Riformista la rubrica satirica di Diego Bianchi, detto «Zoro», descrivendone comicamente alcuni: il ritorno di Veltroni sopra al 33% (tanto è irraggiungibile); Franceschini trionfante e coronato d’alloro al 28%, guerra Bersani-Franceschini e implosione generale con scissioni multiple al 20%; D’Alema segretario sotto al 15%. Con qualche licenza poetica ed eccesso, non sono del tutto surreali.
Franceschini stapperebbe champagne se lunedì si verificassero due condizioni: un Pd attorno al 27% e un Pdl sotto il 40%, con la Lega in forte ascesa. «Si innescherebbe il conflitto nella maggioranza, e si aprirebbero spazi di manovra per noi. Con buone prospettive per le Regionali», spiegano dalle parti del segretario. Il quale, a quel punto, resterebbe al suo posto, rafforzato dalla tenuta elettorale. E il congresso? «Nessuno lo direbbe apertamente ora, ma è chiaro che il congresso verrebbe rinviato a dopo le Regionali del 2010, con la benedizione di D’Alema. E Bersani si farebbe da parte», prevedono gli stessi insider.
Niente congresso, ma un riassetto del gruppo dirigente sì: e sono molti a prevedere che l’asse tra Franceschini e D’Alema, collaudato durante questa campagna elettorale nella quale l’ex premier si è speso pancia a terra per il risultato del partito (e dei candidati della sua scuderia, da De Castro e Pittella al Sud a Gualtieri nel Centro), si possa sostanziare in un ticket di leadership, con D’Alema presidente del Pd, e un cambio ai vertici dei gruppi parlamentari (c’è già chi ipotizza un derby Fassino-Bersani per Montecitorio). Un asse assai mal visto da colui che è stato il principale sponsor di Franceschini, Walter Veltroni, che non fa mistero della propria delusione per il «ribaltone» nel partito.
Dal 25% in giù (e magari con un Pdl che cresce anzichè calare) si apre uno scenario che viene definito «devastante». Si concretizzerebbe quello scenario «appenninico» descritto da Giulio Tremonti, con un Pd ridotto allo zoccolo duro ex Ds e alle regioni rosse. Franceschini sarebbe fuori gioco, e si aprirebbero derive di ogni genere. La scissione dei cattolici verso l’Udc, la corsa al «rinnovamento generazionale» (si fanno i nomi di Renzi, di Debora Serracchiani sponsorizzata da Veltroni, dei dalemiani Cuperlo e Gualtieri). Ma c’è anche chi confida, in casa dalemiana, che a quel punto l’unico timoniere in grado di pilotare la zattera post-Pd, verso lidi più solidamente di sinistra e verso nuove alleanze, sarebbe proprio lui, D’Alema. E a riprova ricorda il suo discorso dei sessant’anni, in aprile: «Nei momenti cruciali ci sono responsabilità da prendersi e io, per quanto mi riguarda, sento di avere le energie per farlo». Con D’Alema segretario di una «Cosa 3», chiosano in casa veltroniana, non si può escludere che «chi ha creduto veramente nel Pd, e non vuol tornare ai Ds, cerchi di far rinascere altrove quel progetto». Un’operazione tipo l’Asinello prodiano del ’99, con Veltroni dietro le quinte. Ovviamente contro D’Alema.

La storia infinita, insomma.

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