Roma

L’universo di De Andrè come non l’avete mai visto

«Volevamo evitare una mostra di impostazione classica, senza vita, dove è difficile partecipare se non attraverso l’interpretazione intellettuale delle opere. Desideravamo raccontare il carattere di Fabrizio, gioioso e un po’ circense. Il risultato è il ritratto di una persona sincera, disponibile e molto severa con se stessa». Così la moglie Dori Ghezzi illustra l’obiettivo, perfettamente raggiunto, di rendere un evento unico «Fabrizio De Andrè. La mostra», percorso interattivo che Studio Azzurro, tra i più importanti nomi internazionali per la videoarte, ha dedicato al cantautore. A pochi giorni dal settantesimo anniversario della sua nascita - 18 febbraio - e dopo i successi delle esposizioni di Genova e Nuoro, la mostra arriva finalmente al museo dell'Ara Pacis, dove sarà ospitata fino al 30 maggio, in un percorso che, tra narrazione e multimedialità, punta al coinvolgimento emotivo dell’osservatore, cui è richiesta una partecipazione attenta e, soprattutto, attiva. Di classico, infatti, non c’è nulla sia per impostazione che per allestimento. Il visitatore è calato in una diffusa penombra, «accesa» da proiezioni di videointerviste, testi di canzoni e registrazioni audio in un intreccio di voci differenti che sono, in realtà, sempre quella di De Andrè, spezzata in più frammenti e momenti diversi, a volte distanti, a creare un effetto di straniamento. Per uscire da confusione e ricchezza di un’arte dai forti stimoli sensoriali e emotivi, occorre scegliere una via verso l’approfondimento di vita, poetica, musica o personaggi, a tratteggiare la complessità di un sistema di pensiero in cui ogni fonte di ispirazione non può prescindere dalle altre, esattamente come le sezioni espositive si uniscono in un labirintico abbraccio che custodisce l’universo De Andrè. Sono le lettere scritte ai genitori da bambino per chiedere una tregua al periodo «di broncio», le mediocri pagelle del liceo - con uno stonato cinque alla voce italiano scritto - i testi di canzoni appuntati a margine dei libri, le foto con la madre e quelle delle tante esibizioni, la lettera al padre scritta durante il sequestro supplicandolo di salvare lui e Dori, le copertine dei dischi e il suo pianoforte. E ancora il piccolo personale manifesto che, forse senza dargli neppure peso, racchiude in una lettera al poeta Mario Luzi, cui confida di voler «traghettare» l’attenzione della gente «dalla lingua comunemente parlata a quella scritta dai grandi poeti e narratori», facendo della musica, ritenuta un’arte minore, un'altra ed alta forma di poesia. E sono, ovviamente, le canzoni e i temi forti della sua poetica che, impalpabili, qui diventano concreti, grazie alle istallazioni di Studio Azzurro. Basta spostare le foto sui tavoli lungo i corridoi per scegliere quale animazione osservare o inserire lastre negli appositi cavalletti, simili a banchi ottici, per ascoltare le interviste di chi lo ha conosciuto e amato. L'interazione arriva al culmine nella Sala dei Tarocchi, in cui, davanti ad un castello di carte, tre grandi tarocchi virtuali regalano volto e movimento ai personaggi delle sue ballate più note, da Bocca di Rosa a Piero, da Marinella a Tito, tra fannulloni e prostitute. Alle immagini già ideate da artisti e curatori si abbina la sorpresa di quelle create dal pubblico: su una lavagna touch-screen si può registrare la propria «visione« dei personaggi, scegliendo cornice, immagine e nome delle carte, che entrano automaticamente e virtualmente a far parte del percorso espositivo, in un costante work in progress. «Ogni volta che guardo la mostra - conclude Dori Ghezzi - trovo qualcosa di nuovo e aspetti meno noti della vita di Fabrizio che stupiscono perfino me».

Perché tra tanti documenti e contributi, il narratore, anche stavolta, è solo De Andrè.

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