Economia

L’uomo che fa le scarpe a mezzo mondo

Dal diario di Renzo Rossetti nel giorno del passaggio del testimone ai figli: «Non c’era nessuna voglia di smettere, oggi è il primo giorno di non lavoro...»

All'inizio ci sono i due fratelli Rossetti, Renzo e Renato, figli di un ciabattino veronese. E pur avendo un fratello maggiore anche lui ciabattino, curiosamente nessuno dei due vuole fare questo mestiere. Anzi, si trasferiscono ad un certo punto a Parabiago, nei dintorni di Milano, con la madre e la sorella in quanto Renato apre in quel posto un negozio di parrucchiere mentre Renzo fa un po' di tutto. Poi c'è la guerra e dopo la guerra la scoperta in entrambi del vecchio mestiere di famiglia.
Così nel 1953 Renzo e Renato danno vita al laboratorio che porta il loro nome, Fratelli Rossetti. Producono prima scarpe sportive (tra i clienti anche Peppino Meazza), quindi scarpe classiche maschili, in seguito anche quelle femminili. Solo nel 1958 sorge in un frutteto di Parabiago la prima vera fabbrica. Ed arriva quasi subito il successo: negli anni Ottanta le loro calzature sono considerate tra le più eleganti, le più belle, le più innovative. Mezzo secolo più tardi alla guida dell'azienda ci sono altri fratelli Rossetti. Questa volta tre, Diego, Dario, Luca, e tutti figli di Renzo. Seconda generazione, quindi.
La stessa strategia. La strategia, però, spiega Diego Rossetti, è sempre identica a quella portata avanti dalla prima generazione: «Massima armonia tra tecnologia e tradizione, massimo equilibrio tra qualità e prezzo».
Sembra uno slogan, anzi lo è. Ma è anche la realtà. Spiega sempre Diego, classe 1956, nato a Legnano e il maggiore dei tre fratelli: «Un buon esempio di questa filosofia è il processo di realizzazione del prodotto. La scarpa, una volta pensata dall'ufficio stile, viene disegnata al computer tramite un sistema tridimensionale Cad in grado di definire con precisione i dettagli di carattere tecnico del modello che comunque viene realizzato anche a mano in varie fasi della lavorazione. In sostanza, riusciamo ad offrire un prodotto di alta qualità rispettando la tradizione artigianale nel segno dell'innovazione».
Tutto made in Italy. Così la Fratelli Rossetti, che realizza 350mila paia di scarpe con otto collezioni uomo e donna ogni anno oltre ad una linea più sportiva conosciuta con il marchio Flexa, è uno dei pochi calzaturifici ad avere tutta la produzione concentrata al suo interno nei tre stabilimenti di Parabiago. Una produzione rigorosamente made in Italy, senza nessun tipo di decentramento, ricorso a licenze o lavorazioni per conto terzi. E allargata nei primi anni Novanta a prodotti come borse, cinture, piccola pelletteria, ma anche abbigliamenti in pelle.
La grande svolta. «Una svolta stilistica importante che ci ha portato nuovi clienti», sostiene Dario. «Facendo sempre tutto in proprio, siamo un po' maniaci in questo senso», chiarisce Luca. «Una scelta che ci ha reso fortemente competitivi e ci ha fatto respingere le proposte di trasformare la Fratelli Rossetti in un fenomeno modaiolo o un contenitore di altre firme», aggiunge Diego.
La Fratelli Rossetti è un’azienda familiare. Presidente è ancora Renzo, il fondatore mentre il fratello Renato è scomparso una ventina d'anni fa senza eredi. Originario di Sanguinetto di Verona, lo stesso paese in cui abitava la famiglia di un famoso giornalista sportivo, Bruno Roghi, Renzo è del 1925 ed è un self-made man, uno di quegli uomini partiti dalla povertà e dal nulla, vissuti però non come ostacolo ma come opportunità.
Sposato dal 1954 con Lisetta Baldassari, una milanese che lo affiancherà a lungo in azienda, Renzo Rossetti ha superato l'ottantina, è nonno di sette nipoti e, con i cinquant'anni di attività della Fratelli Rossetti, il 7 gennaio 2003 ha passato il bastone del comando ai tre figlioli. Per quanto in cuor suo, ha confidato, «non c'era nessuna voglia di smettere». Quel giorno ha scritto nel suo diario: «È il primo giorno di non lavoro». In realtà non è andato mai del tutto in pensione: ha impostato alcuni mansionari, partecipa a qualche riunione importante, è sempre pronto a mettere il naso in azienda dove viene ancora oggi ricordato per la sua «mania di perfezionismo». Una mania per la qualità che lui stesso riconosce: «Le cose belle resistono nel tempo, il più severo giudice per distinguere con serietà tutto ciò che è estemporaneo e la vera eccellenza delle cose che contano».
Seconda generazione. Dei tre Rossetti della seconda generazione, compresi tra i quaranta e i cinquant'anni, Diego è il più passionale e istintivo, Dario il più pacato e fantasioso, Luca il più preciso, qualcuno dice quasi pignolo. Ed in base a queste caratteristiche si sono divisi anche i ruoli. Diego, il più anziano, a luglio compirà 50 anni ma è in azienda da trenta. C'è entrato nel 1976 dopo il liceo scientifico ed avere fatto il militare a Viterbo, vigilanza aeronautica. E si è subito occupato dello sviluppo all'estero, aprendo già nel 1979 le prime boutique di proprietà a New York in Madison Avenue, a Londra in Bond Street, a Parigi in Rue Royale. E poi dell'ampliamento della rete monomarca in Italia, da Venezia a Milano e Roma, fino ad arrivare ai quindici negozi di oggi.
Responsabile marketing e comunicazione, è un grande appassionato di sport e di fotografia: pratica il volo a vela e il trekking, ha effettuato la scalata del Kilimangiaro e ha attraversato il Nepal in bici. La passione per il Nepal è tale che lo ha portato ad adottare una bambina nepalese e a creare in quel Paese una casa di accoglienza per i piccoli meno fortunati.
Dario, il creativo, è del 1958 ed è il responsabile dell’ufficio stile. Frequenta il liceo artistico a Busto Arsizio, dove conosce la ragazza che poi sarebbe diventata sua moglie, Stella Mazza, si iscrive all'Accademia a Brera ed entra in azienda nel 1981 dopo essersi diplomato in una scuola calzaturiera. Collezionista di antiquariato, appassionato di auto d'epoca e vacanze a Santa Margherita, alla sua équipe si devono i 400 modelli realizzati ogni anno dalla Fratelli Rossetti. Ed anche più di una innovazione. Così l'azienda di Parabiago è stata la prima ad introdurre, nelle scarpe della linea Flexa volute nel 1990 da papà Renzo come calzature comode per il week end, il plantare interno anatomico e una suola in lattice naturale ricavata dall'albero della gomma. O a introdurre sempre nella Flexa le suole in gomma dal disegno a mattonella, famose in quanto cambiano di dimensione e disposizione di scarpa in scarpa sino a diventare parte integrante dello stile. Oggi la linea Flexa significa un buon terzo del giro d'affari dell'azienda.
Luca, il più giovane dei tre essendo del 1965, è sposato con Laura Muzio che lavora a Milano in un'agenzia pubblicitaria, è laureato alla Bocconi, ha praticato il tennis a livello agonistico e segue con particolare attenzione finanza, amministrazione, produzione, acquisti. È lui ad avere informatizzato tutto il gruppo e ad avere inserito nell’area produttiva macchinari automatici di taglio collegati al Cad del reparto modelleria e utilizzati nell'abbigliamento e nella pelletteria. Impianti in grado di ridurre del 30% i tempi di lavorazione.
Ventisei boutique. La Fratelli Rossetti ha 300 dipendenti, un fatturato di 57 milioni di euro realizzati per il 40% all’estero grazie ad una rete di 26 boutique monomarca, 15 in Italia e 11 tra l'Europa e gli Stati Uniti. A Parigi ce ne sono addirittura tre.
Lo stile è uniforme, studiato a suo tempo dall'architetto americano Peter Marino e poi rivisitato da Momi Lorenzi. E negozi tutti di proprietà. Ma la novità è data ora dall’apertura delle prime boutique in franchising in India e in Medio Oriente. La prima a Beirut, quindi Dubai, Abu Dhabi e Kuwait City, infine a Mumbai, la ex Bombay. E tra poco sarà la volta di Nuova Delhi. «A differenza della Cina - spiega Diego Rossetti - l'India è un paese giovane, il 50% della popolazione è sotto i 25 anni. Ed utilizziamo il franchising rinunciando alla gestione diretta del negozio perché ci è sembrato importante esplorare altre forme di vendita in una realtà così fluida come quella mediorientale».


L'obiettivo, aggiunge Luca, «è di arrivare ad avere i due terzi del nostro giro d'affari realizzati all'estero entro il 2010».
(97 - Continua)

Commenti