Politica

L’uomo nuovo del partito vecchio

L’investitura di Veltroni alla leadership del futuro, e futuribile, Partito democratico ha portato alla luce la farsa delle primarie pseudo-democratiche del centrosinistra che ha già avuto la più perfezionata espressione nel plebiscito a suo tempo orchestrato per Romano Prodi.
Le voci che ora si ascoltano hanno un sapore tra il finto ingenuo e l'amaro rancore. Il rifondatore comunista Gennaro Migliore spiega con seriosità che occorre mettere in atto «procedure di selezione democratica». Enrico Letta della Margherita, emarginato dal ticket Veltroni-Franceschini, risponde agli amici che gli chiedono di scendere in campo «Come potrei non farlo?». I riformisti Ds proclamano che «sarà un bene se ci sarà più d'una candidatura alle primarie per la segreteria del Pd», precisando con malizia «purché siano espressione di piattaforme diverse».
Ma il lamento più bizzarro viene dal superprodiano Arturo Parisi: «Ho idea che sia costretto a candidarmi alle primarie, se nessun altro si fa avanti. Se il leader è gia deciso mi potete chiedere una candidatura di servizio, non la certificazione che sono un cretino. Chi parteciperebbe mai a un gioco nel quale è stato già proclamato il vincitore?».
Ha ragione. La partita che si sta giocando per la leadership del Pd che ancora non è - e non si sa se mai sarà - è del tutto ingannevole. Perché con le storie e i gruppi dirigenti dei Ds e della Margherita, i leader non potranno mai essere selezionati dalla cosiddetta base. Il Partito democratico, infatti, come è stato più volte osservato, non è affatto un «partito nuovo» ma solo la «fusione a freddo» di partiti vecchi che portano su di sé il carico di vizi antichi, soprattutto quelli della componente storicamente più forte.
Infatti la cultura politica e la tradizione materiale del nuovo partito, che tanto nuovo non è, derivano direttamente dalla storia del Partito comunista e delle forze post-comuniste che hanno assunto nel tempo le denominazioni di Pds, Ds e Quercia.
Anche l'ascesa di Veltroni, il vecchissimo «uomo nuovo» cresciuto nei recinti e nei riti della politique politicienne, pur se rivestita di immagini innovative al punto da negare la stessa identità comunista, non è altro che lo sbocco di procedure chiuse e di negoziati sotterranei tra potentati correntizi e partitici.
Le forze politiche hanno il diritto di adottare i metodi che più ritengono opportuni nelle loro decisioni anche quando riguardano la scelta dei leader. Quel che però non è accettabile nel discorso pubblico è la pretesa di far credere che si è dato vita a qualcosa di nuovo e di democraticamente rivoluzionario, come sarebbero le primarie, quando invece si procede, come nel caso prima di Prodi e poi di Veltroni, nella solita strada dei vecchi, vecchissimi partiti.
m.

teodori@mclink.it

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