Politica

Ma l’uomo stia attento: attraversare i secoli può far perdere la testa

di Stefano Zecchi

Le grandi scoperte scientifiche sembrano confermarci quello che già supponevamo, perché visto in qualche bel film o letto in un romanzo. Ciò che sono riusciti a «creare» gli scienziati russi non ricorda forse qualcosa di Jurassic Park, il film in cui sono fatti rivivere in un’isola «veri» dinosauri? Un film, un libro ci possono divertire, sollecitando i nostri sentimenti, dalla meraviglia alla paura, dal divertimento allo sconforto: poi, si chiude il libro, si esce dal cinema e ci ritroviamo non più con i dinosauri ma con i nostri problemi quotidiani. Tiriamo un sospiro di sollievo e, secondo i casi, ci rallegriamo per non aver a che fare con gli animali preistorici, oppure ci rammarichiamo perché sarebbe stato preferibile affrontare quei bestioni piuttosto che, per esempio, Equitalia.
La questione è che la scienza, con le sue scoperte, trasforma un mondo di fantasia nella realtà, e questo passaggio finisce per coinvolgere anche i più indifferenti in un mondo vero che non è uscito dall’immaginazione di un regista o di uno scrittore. La procedura a cui gli scienziati russi hanno sottoposto questo seme antico, conservato dal clima glaciale, e la loro convinzione di poter sottoporre allo stesso trattamento non soltanto specie vegetali in analoghe condizioni, aggiungono un capitolo affascinante sulla sopravvivenza dell’uomo. L’idea che si possa modificare il naturale ciclo biologico con un prolungamento della vita umana stabilita dalla nostra decisione, non è una semplice supposizione. Insomma, essere ibernati e scongelati quando si vorrà non sembra più un progetto tanto stravagante.
Abbiamo la cultura sufficiente per capire come gestire nella nostra esistenza quotidiana queste scoperte? La scienza corre in avanti, e non potrebbe essere che così, ma noi, gente comune, abbiamo la cultura per poter accogliere, accettare nella nostra vita queste procedure che modificano l’idea stessa della vita?
Si sarà notato che da qualche decennio la ricerca scientifica ha abbassato lo sguardo dall’immensità del cielo stellato alla finitezza dell’essere umano. Dalle ricerche spaziali all’ingegneria genetica. Ci sono certamente motivi economici in questa decisione, comunque i viaggi stellari potevano aprire mondi infiniti alla nostra conoscenza senza mettere in questione (almeno nelle sue fasi iniziali) la realtà biologica dell’uomo. Ora, ciò che invece sta sviluppando la ricerca scientifica è il cambiamento della nostra realtà biologica.
Diventa dunque fondamentale possedere una cultura in grado di farci sapere cosa significhino, cosa comportino queste manipolazioni genetiche. Un conto è il viaggio di astronauti verso Marte (speriamo che arrivino e trovino cose importanti, ci diciamo), altra cosa è essere preparati a sottoporsi (o a scegliere per altri di sottoporsi) a un programma di ingegneria genetica.
Insomma, con quale cultura possiamo decidere di farci ibernare? Sono sufficienti una suggestione, il piacere di immaginarsi in una prossima esistenza lontana qualche migliaio di anni e molti quattrini per potere decidere di essere come quel seme trovato congelato e riportato alla vita?
Rispetto all’ingegneria genetica, che tende a trasformare ciò che c’è in ciò che ancora non c’è, il fatto di ritrovarci tra diecimila anni e con le nostre sembianze e forse anche con la nostra giacca e pantaloni è meno inquietante. Ma poi, anche in questo caso, la nostra cultura, il nostro cervello come si metteranno in sintonia con i nuovi tempi?
A seconda del nostro carattere, le scoperte della scienza ci possono affascinare o riempirci di terrore, ma poi, comunque, dobbiamo fare i conti con ciò che ha fatto di noi l’educazione, la formazione, la cultura ricevute.

E mai come in questi tempi è grande lo spazio che intercorre tra la straordinarietà dei risultati delle ricerche sulla nostra vita raggiunti dalla ristretta casta degli scienziati, e questa nostra vita quotidiana che dispone di una cultura generale molto modesta: gratificata da Jurassic Park, ma disorientata, o impotente, quando si passa dalla fantasia alla realtà.

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