L’uso ideologico (e ipocrita) dell’americanità

Nel corso della trasmissione di Radio Rai Due Un giorno da pecora in onda martedì 30 marzo, il signor Bruno Tabacci, con la prosopopea che lo contraddistingue, ha detto: «Avete mai sentito dire che negli Stati Uniti il presidente si sia lamentato perché i giudici della Corte Suprema erano stati nominati da suoi predecessori di diverse posizioni politiche?», lasciando in tal modo intendere che solo in Italia e con Berlusconi possano avvenire cose del genere. Come sempre gli accade, avrebbe fatto meglio a tacere, visto che lamentele di tal fatta negli Usa sono normali quando la Corte bocci leggi ritenute significative dall’amministrazione. Ma c’è di più, ovviamente, considerando che il tanto osannato e in verità mediocre presidente democratico Franklin Delano Roosevelt, in rotta con la Corte dell’epoca che contrastava la sua politica durante il New Deal, all’inizio del 1937, propose addirittura di aumentare il numero dei suoi giudici (aggiungendone alcuni ipocritamente definiti «supplenti») così da poterne nominare un numero tale da arrivare ad avere la maggioranza! Su tale strada, l’opinione pubblica non lo seguì e la proposta poco dopo finì nel dimenticatoio. Tabacci e mille come lui, assolutamente all’oscuro delle materie sulle quali sdottorano ma ben sapendo di poter contare sull’ignoranza e sul provincialismo degli ascoltatori, degli spettatori e dei lettori, spessissimo aprono bocca e gli danno fiato.
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Ah, l’America caro Mauro! Oggi è l’inferno, domani il paradiso. Nei giorni pari è covo d’ogni nequizia civile e politica, in quelli dispari modello di virtù (sempre politiche e sempre civili). Dipende. Fino a ieri tutti giù a dire che dispone del peggior sistema elettorale del mondo e poi, quando quel sistema sforna un Obama, zàcchete, diventa il massimo. Tanto da importarvi le ormai divinizzate primarie. Che laggiù significano davvero qualcosa, quaggiù si traducono in una farsaccia buona solo per épater le gauchiste (e non è finita: martedì scorso, riflettendo - la canonica «pausa di riflessione» - sui risultati elettorali, una molto radicalchic dama subalpina che nonostante tutto si compiace di frequentare la casa di un cocciuto conservatore - io - se ne uscì: «La sinistra deve ripensarsi, deve rifondarsi adottando metodi avanzati di selezione democratica del personale politico. Come il caucus, ad esempio». Pronunciato «coches»: lì per lì non avevo capito).
Quello che poi va forte è l’uso strumentale e ideologico dell’americanità. Siccome a conoscere bene il sistema siete tu e pochi altri e dunque la gente si beve qualsiasi cosa l’ultimo bamba dica di quel Paese, lo si prende ogni due per tre quale elemento di prova a carico delle malefatte italiane, in ispecie berlusconiane. Con questo non intendo - assolutamente no - affermare che l’ottimo Tabacci sia un bamba. Parlavo così, in generale. Come si dice? Escluso i presenti. Bruno Tabacci da Quistello è un politico di lungo corso con la fissa del bipolarismo, che non gli garba perché gli taglia la già scarseggiante erba sotto i piedi. Però parla forbito e se la tira da uomo di grande saggezza, profondo pensiero e baritonale cultura. Al pari di ogni appartenente alla vecchia e acciaccata guardia egli ritiene che l’essenza della politica sia, appunto, il darla a bere. E siccome ama sdottoreggiare, la dà a bere traendo dal cilindro delle meraviglie riferimenti all’etica americana.

Inventandoseli di sana pianta, tanto chi, se non Mauro della Porta Raffo, lo va a cogliere in castagna? (Però, detto inter nos, che lenza quel Franklin Delano Roosevelt).
Paolo Granzotto

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