Controcultura

L'accademica purezza del classico Franceschini

La cifra di questo autore è senza tempo. E persegue un ideale "congelato" nella forma

L'accademica purezza del classico Franceschini

Entro le rivoluzionarie esperienze, a Venezia, di Giambattista Tiepolo, e, a Napoli, di Francesco Solimena, che maturano una meravigliosa magniloquenza uscendo dalla inesauribile sensualità del Barocco verso cieli luminosi, si pone quella di intatto e incontaminato classicismo di un pittore bolognese spesso trascurato: Marcantonio Franceschini. In lui si compie quella aspirazione, tutta bolognese, all'ideale classico inaugurata da Annibale Carracci e da Guido Reni, e perseguita dal migliore e più terso Cantarini e dall'insuperato Domenichino. Franceschini tutti li sublima in una cifra algida e purissima, senza tempo e senza turbamento. Nessun pittore è distante più di lui da emozioni e sentimenti, residui di una passione allontanata senza spegnere la vita congelata nella forma. La sua estetica rispecchia la condizione sentimentale del Didimo Chierico di Ugo Foscolo: «Dissi che teneva chiuse le sue passioni; e quel poco che ne traspariva, pareva calore di fiamma lontana». E le sue opere stanno davanti a noi come supreme testimonianze di un imperturbabile classicismo. In lui matura, primamente, e prende forma, la natura di accademico.

Marcantonio Franceschini nasce a Bologna il 5 aprile 1648. Le fonti lo ricordano come un uomo buono, di oneste maniere, solito riposarsi dalle fatiche della pittura applicandosi al liuto. Come per il Guercino ne resta il Libro dei conti conservato alla Biblioteca comunale di Bologna, che documenta la sua produzione pittorica dal 1684 al 1729. Intorno ai vent'anni entra nella bottega di Carlo Cignani, con il cugino Luigi Quaini. Il Cignani li impegnò per tutto l'ottavo decennio nella traduzione ad affresco dei suoi impegnativi disegni, inaugurando una ideale accademia. Sui disegni del maestro, Franceschini si applicò ancora a Forlì, nella chiesa di san Filippo Neri; a Massalombarda, in Santa Maria del Carmine; e a Parma, nel palazzo del Giardino, dove traspose i cartoni del Cignani sul tema «Amor vincit omnia», poi variamente ripetuto da Ignazio Stern in raffinatissimi dipinti. Nel 1674 Franceschini esordisce in proprio con la pala di San Filippo Benizzi che rifiuta la tiara, per la chiesa di San Lorenzo di Budrio. Dal 1680 esce dalla utilissima bottega del Cignani. Fino al 1682 lavora alla decorazione dei palazzi delle famiglie bolognesi Ranuzzi, Monti e Marescotti. In palazzo Ranuzzi è notevole il soffitto con la Fortuna che trascina Amore fra monocromi che fingono rilievi. Ancora soggetti mitologici per palazzo Monti (poi Salina) dove rappresentò Il giudizio di Paride, Bacco e Arianna e la Gloria di Apollo. In palazzo Marescotti (poi Brazzetti) affresca le volte della sala.

Proprio attraverso tali esperienze lo stile del Franceschini evolve in una misura classica e in un purismo formale di cui sono evidenti le premesse in Guido Reni e nel Domenichino. Franceschini opera una sintesi fra il correggismo cignanesco e il raffaellismo reniano, come suggerisce Renato Roli, e lo dimostra in opere come i Santi Bartolomeo e Severo (1683) della Pinacoteca di Ravenna e la Nascita di Adone (1684-88, Dresda, Gemäldegalerie). Di questi anni di prima maturità è anche la Madonna e i santi Giovanni Battista, Luca, Pier Celestino per la chiesa di San Giovanni dei Celestini. Nel 1690 termina gli affreschi per l'abside di San Bartolomeo. A Finale Emilia ancora cignaneschi sono i Santi Pietro, Paolo, Alberto, Lucrezia nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, e la Madonna, il Bambino e san Filippo Neri nella chiesa del Rosario. Nel 1683 dipinge per il duomo di Piacenza l'Immacolata Concezione, e nel 1687 il San Tommaso di Villanova con il povero per la chiesa di Sant'Agostino a Rimini. Alla fine, Franceschini è proiettato in una dimensione europea, ma non vorrà mai allontanarsi da Bologna. Tra i suoi collezionisti, Augusto Federico II di Sassonia, il principe Federico Cristiano, conte di Schaumburg-Lippe, il marchese di Exeter, il conte Kaunitz. Il principale committente straniero fu il principe Adamo Giovanni di Liechtenstein che, nel 1692, lo incaricò di dipingere ventisei tele per il suo palazzo di Rossau, nei sobborghi di Vienna. La lunga intrinsechezza, anche per l'acquisto di opere d'arte, è testimoniata dai ben quarantadue dipinti di Franceschini per il principe. Le prime sedici tele, compiute tra il 1692 e il 1698, sono otto Storie di Diana e altrettante Storie di Adone, attualmente conservate a Vaduz. Nel palazzo di Rossau sono le tele realizzate tra il 1706 e il 1708 e consegnate nel 1709. Per la galleria, Franceschini individuò tre temi: al centro, Giunone e Apollo con Cerere, Flora e Bacco, accompagnati da divinità minori; ai lati Giove con Mercurio, e Marte, Venere, Cupido. Giampietro Zanotti scrive: «Era sì grande la folla de' lavori commessigli, che gli bisognava talora pignere ancora di notte».

Nelle pale d'altare il Franceschini predilesse l'esecuzione a tempera, in armonioso rapporto cromatico con gli elementi architettonici. Alla fine del secolo dipinge per la chiesa di Santa Maria di Galliera gli affreschi della volta (Virtù teologali) e la pala con la Madonna in gloria e i santi Francesco di Sales e Francesco di Assisi (1693-95). Nello stesso tempo lavora per la chiesa di Sant'Agostino a Imola, e in palazzo ducale a Modena (il soffitto con l'Incoronazione di Bradamante allude alle nozze tra Rinaldo I d'Este e Carlotta Felicita di Brunswick). Nel 1701 è a Reggio Emilia per la decorazione ad affresco della cappella del Tesoro in San Prospero. Qui ha al suo fianco, per il paesaggio e altri particolari, il Quaini e Francesco Antonio Meloni e, per la quadratura, E. Haffner. Completati i lavori a Modena, il Franceschini, accompagnato dal Quaini e, per le quadrature, dal Meloni e dall'Aldrovandini, è a Genova per dipingere gli affreschi, poi distrutti da un incendio del 1777, nella sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale. Di questa vasta impresa, conclusa nel 1704, rimangono i cartoni nel Museo dell'Opera del duomo di Orvieto. Dal 1704 al 1710 Franceschini riprende l'attività nella città natale.

Intanto, a Bologna fin dal 1706, Zanotti gettava le basi per la fondazione di una accademia di belle arti. Il conte Marsili intercede presso il Senato e Clemente XI, al quale vengono inviati in dono l'Estasi della Maddalena e la Comunione di santa Maria Egiziaca, dipinte intorno al 1680. Nel 1710 venne inaugurata l'Accademia, detta Clementina, in omaggio al pontefice. Dei quaranta artisti destinati a costituire il primo nucleo dell'istituto, nell'anno di fondazione, il Franceschini fu viceprincipe, carica attribuitagli dal Cignani, a sua volta nominato principe. Sempre attivissimo, nel 1711 viene chiamato a Roma da Clemente XI per eseguire i cartoni per i mosaici della cappella del coro in San Pietro, in precedenza affidati a Carlo Maratta. Portata a compimento la prima parte della commissione, nella primavera del 1712 torna a Bologna, dove si dedica alla realizzazione dei cartoni per le lunette. La sala Riaria del palazzo della Cancelleria a Roma è ornata, già dal 1719, con altri cartoni del Franceschini appositamente montati su tela da Domenico Michelini.

Nel 1714 torna a Genova, per affrescare la volta della navata nella chiesa di San Filippo Neri. Nel 1715 dipinge, per il nobile genovese Stefano Pallavicini, la serie di Storie di Diana. Altro committente genovese è il marchese Gian Filippo Durazzo, per il quale prepara due episodi della vita di Achille. Nel Palazzo Durazzo Pallavicini di Genova sono conservate altre opere del Franceschini: una Nascita di Adone e altre cinque di soggetto religioso. Nel 1716 dipinge per il principe di Carignano Le stagioni (Bologna, Pinacoteca nazionale). Intanto il Franceschini si impegna nell'attività dell'Accademia. E, ancora nel 1717, esegue, per la chiesa di San Filippo a Genova, un Riposo in Egitto; nel 1718 affresca la cappella della Madonna del Popolo nella cattedrale di Piacenza e, l'anno seguente, dipinge un San Giorgio che uccide il drago per la chiesa della Steccata di Parma. Nel 1720, anno in cui è di nuovo viceprincipe all'Accademia Clementina, dipinge la grande tempera con l'Allegoria della Fama (Bologna, Accademia di belle arti) per la commemorazione del Cignani, morto l'anno prima. Nel 1721 è nominato principe dell'Accademia Clementina. Negli ultimi anni dipinge il Trionfo di David (1721) ora nella collezione Marsigli Paolazzi di Monza, e la Morte di Abele (1723) della Pinacoteca nazionale di Bologna. Per tre chiese bolognesi realizza, quasi ottantenne, l'Annunciazione in Sant'Isaia (1726), I sette santi fondatori in Santa Maria dei Servi (1727) e San Giacomo presenta San Rocco alla Vergine in San Pietro (1727-28).

Muore a Bologna il 24 dicembre 1729, lasciando la sua eredità artistica al figlio Giacomo Maria.

A noi, lo spirito terso dell'Accademia.

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