Cultura e Spettacoli

L'America delle ferriere alle origini del neorealismo a stelle e strisce

Esce «Polvere di ferro», antologia di tre racconti inediti di Rebecca Harding Davis che racconta la vita a Wheeling, in West Virginia nella seconda metà dell'Ottocento

Rebecca Harding Davis, vissuta fra il 1831 e il 1910, era una scrittrice di provincia. Conosciuta all'epoca, sconosciuta ai più. A tal punto poco nota che i suoi racconti, alle origini del realismo americano, escono oggi in Italia e rappresentano una novità perché trattasi di testi assolutamente inediti. «Polvere di ferro» (Donzelli editore, pp. 160, 15 euro) è un libro agile che contiene tre brevi lavori dell'autrice americana, di recente riscoperta, e sulla quale Alessandro Portelli, docente di letteratura angloamericana alla Sapienza, scrive: «La narratrice ci sfida a inoltrarci in questa landa sconosciuta, senza troppo preoccuparci se nel contatto sporchiamo i nostri bei vestiti e contaminiamo i nostri elevati pensieri».
Portelli, infatti, tra i più autorevoli esperti di storia orale, si è lasciato completamente sedurre dalla narrativa della Harding Davis che oltre a tracciare una sorta di racconto a carattere autobiografico dal titolo «Storia di una moglie», ci lascia uno spaccato importante della società americana del suo tempo nel lungo racconto intitolato «Vita nelle ferriere o la donna di korl». Una trattazione articolata ed estremamente realistica del lavoro nelle industrie del ferro. Al centro della trama un operaio, Hugh Wolfe, spossato dalla fatica per i ritmi di lavoro cui è sottoposto e avvilito dall'ignoranza, ma non rinuncia alle scelte più umili pur di lasciare traccia del proprio lamento per le condizioni di vita inumane in cui si trova.
Hugh Wolfe s'inventa scultore e, per la sua creatura, decide di rubare gli scarti per la lavorazione del ferro. Con questi pezzi riesce ad assemblare la figura di una donna, con membra possenti ma abbruttita dalla fatica, nondimeno pervasa da una brama indistinta, mentre, con le mani proteste verso il vuoto, spalanca la bocca in un grido di desiderio simulato che dia vita e corpo alla sua sofferenza. Hugh Wolfe tuttavia viene scoperto a sottrarre gli avanzi della lavorazione e, per questo, è denunciato e finisce in prigione, dove una donna, sua vicina di cella, raccoglierà le parole dell'operaio e si farà testimone della sua esperienza tramandandola al lettore. Wolfe naturalmente non sopravvivrà, ma di lui resta la umile quanto profonda denuncia sociale che Rebecca Harding Davis trasferisce nero su bianco.

Storia di libertà, di aneliti artistici di aspirazioni alla bellezza che rappresentano i denominatori comuni anche agli altri due racconti inclusi nel testo e che costituiscono l'«assaggio» di una forma letteraria giustamente riscoperta.

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