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I 100 padroni d'Italia

Lavorano dietro le quinte, tra politica e alta burocrazia. Ecco il potere nascosto dei Consiglieri di Stato

I 100 padroni d'Italia

Lo scontro tra Stato e Regione Veneto sui vaccini obbligatori e la riforma Madia della pubblica amministrazione. Ma anche il via libera al Tap, il gasdotto Adriatico osteggiato dalla Regione Puglia, e la creazione del Parco Archeologico del Colosseo, voluto dal ministro Franceschini con l'opposizione del sindaco Raggi. Vicende diverse che però hanno tutte un punto in comune: negli ultimi mesi sono, in un modo o nell'altro, passate nei saloni di uno dei più eleganti edifici rinascimentali di Roma, Palazzo Spada. Qui, a due passi da Piazza Farnese, ha sede il Consiglio di Stato, uno degli snodi fondamentali, e meno conosciuti, del potere romano. A lavorarci, tra uffici affrescati e statue del Bernini, sono poco più di un centinaio di «consiglieri» (una quindicina sono entrati nelle settimane scorse, dopo l'ultimo concorso), abilissimi a muoversi nel delicato incrocio tra politica e alta burocrazia. Talmente abili (...)

(...) che per molti di loro il Consiglio di Stato finisce per essere solo una tappa di passaggio verso altri incarichi.

Grazie all'istituto del «fuori ruolo», il distacco presso altre amministrazioni, i componenti del Consiglio occupano da sempre gangli centrali della vita pubblica, dove giocano spesso da registi dietro le quinte, in grado di tradurre in norme la volontà della politica. Attualmente, per esempio sono Consiglieri di Stato il segretario della presidenza del Consiglio Paolo Aquilanti, il segretario dell'Antitrust Roberto Chieppa, il Capo di gabinetto del Ministero dell'Economia Roberto Garofoli, il consigliere del presidente della Repubblica Giancarlo Montedoro, e si potrebbe continuare a lungo (vedi anche il grafico a fianco). Per avere un'idea della ragnatela di potere intorno a Palazzo Spada basta dare un'occhiata ai curriculum dei vertici: il presidente Alessandro Pajno è stato capo di Gabinetto dei ministri Ciampi, Mattarella e Iervolino, sottosegretario con Prodi. Il presidente aggiunto Filippo Patroni Griffi è stato tra l'altro Ministro nel governo Monti, il segretario Generale Mario Luigi Torsello era già consigliere giuridico di Palazzo Chigi ai tempi di Giuliano Amato.

DUPLICE RUOLO

Al Consiglio di Stato la Costituzione attribuisce una strana fisionomia a due volti. Da un lato è organo ausiliario del governo, visto che deve essere consultato per l'adozione di leggi e regolamenti (come nel caso della Riforma Madia) e può dare pareri sui rapporti tra istituzioni (come per i vaccini). Dall'altro è giudice di appello per le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali ed è quindi chiamato a valutare scelte controverse come, appunto, il Tap o il parco del Colosseo. L'attribuzione di un potere rafforza l'altro. Al momento di decidere un provvedimento l'esecutivo può disinteressarsi di quello che dice il Consiglio di Stato, ma lo fa a suo rischio. Se verrà citato in giudizio, a valutare in ultima istanza la questione saranno di nuovo gli uomini di Palazzo Spada, questa volta non più come consulenti, ma indossando la toga da giudici.

Anche perchè permette di accedere a questi «super-poteri», il concorso da Consiglieri di Stato è considerato forse il più impegnativo tra quelli pubblici e i vincitori possono tutti sfoggiare curriculum da primi della classe. In base alla legge, ai «concorsisti» si affiancano i vertici della magistratura amministrativa in arrivo dai Tar e un certo numero di nominati dal presidente della Repubblica su deliberazione del governo, scelti di solito tra i gran commis di Stato. Il mix di competenze giuridiche e doti «politiche» dei consiglieri fanno sì che, come detto, le porte girevoli con gli altri Palazzi siano sempre in vorticoso movimento. E a volte la loro onnipresenza non manca di creare qualche polemica.

Alla fine dell'anno scorso per esempio i vertici del Consiglio nazionale Forense, l'organismo rappresentativo dell'avvocatura, non nascosero la loro irritazione per una vicenda che li aveva coinvolti, dopo una multa da un milione di euro ricevuta da parte dell'Antitrust e dimezzata in seguito a una sentenza del Tar. L'ultima parola spettava per legge al Consiglio di Stato e quest'ultimo confermò in pieno la decisione dell'Autorità, riformando la sentenza di primo grado. Tutto a posto? Assolutamente sì. Ma a dare la multa, fece notare a suo tempo il quotidiano Il Dubbio, edito dalla Fondazione dell'Avvocatura, è stato l'organismo guidato dal Consigliere di Stato Chieppa (come detto segretario dell'Antitrust) e l'ultimo giudizio sul provvedimento è toccato al Consigliere di Stato Vincenzo Lopilato, legato al primo, oltre che dalla colleganza, anche «da un importante sodalizio intellettuale e scientifico», visto che i due scrivono insieme testi giuridici.

SENTENZE LENTE

Cose che possono capitare visti gli incarichi extra assunti da molti consiglieri. Ma a suggerire un freno ai distacchi esterni degli inquilini di Palazzo Spada (questa sembra la politica del presidente Pajno, in carica dal gennaio del 2016) è soprattutto un altro elemento: la necessità di raccogliere le forze per far fronte al mestiere principale del Consiglio, quello di suprema corte amministrativa. E nel «core business», come si direbbe in una azienda, le cose non vanno particolarmente bene.

Dal 2012 al 2015 il numero dei ricorsi definiti è passato da 11.500 a 9.600, con un calo di poco meno del 20%. Solo nel 2016 c'è stata una lieve ripresa con 200 casi trattati in più. Il rallentamento viene spiegato con la riduzione nel numero dei consiglieri, falcidiati dall'abbassamento dell'età della pensione a 70 anni e dal divieto di cumulo tra stipendio e assegni pensionistici di altre amministrazioni. Quest'ultimo provvedimento, in particolare, ha indotto al ritiro molti consiglieri di nomina governativa «paracadutati» a Palazzo Spada dopo lunghe carriere in altri settori della burocrazia.

I problemi aumentano se si guarda alla giustizia amministrativa nel suo complesso, di cui il Consiglio di Stato rappresenta il vertice (Pajno guida anche il Consiglio di presidenza dei giudici amministrativi, l'equivalente di quello che il Csm è per la magistratura ordinaria). Da tempo i Tar sono finiti nel mirino, con l'accusa di bloccare con il loro formalismo economia e crescita. L'ex presidente del Consiglio Prodi arrivò a dire che se fossero stati eliminati il Pil sarebbe aumentato di qualche punto percentuale. Per rispondere alle esigenze del mondo produttivo sono stati creati due riti speciali per ricorsi su appalti e decisioni delle Autorità indipendenti. La mossa ha funzionato, visto che in questi due campi i tempi sono stati drasticamente ridotti (una decisione di primo grado richiede meno di tre mesi).

IN FONDO ALLA CLASSIFICA

Le note dolenti riguardano però il rito ordinario, quello più utilizzato dai cittadini qualunque. Secondo il Justice Scoreboard dell'Unione europea nel 2015 per avere una sentenza del Tar bisognava aspettare 1.008 giorni, contro i 338 della Francia e i 373 della Germania (per non parlare di Belgio e Olanda con 113 e 159). Peggio di noi fanno solo Malta, Cipro e Grecia. Il numero dei ricorsi definiti è precipitato dai 143mila del 2012 (104mila nel 2013) agli 83mila dell'anno scorso. Certo, le risorse sono scarse, e all'inizio del decennio ha pesato l'avvio di un'opera di pulizia sui vecchi procedimenti a cui le parti non erano più interessate. Ma ancora nel 2015 le cosiddette «perenzioni», l'estinzione del procedimento per inattività del proponente, pesavano per circa il 40% sul totale dei ricorsi definiti e quindi le sentenze di merito sono perfino minori rispetto a quelle che figurano nelle statistiche. Così al centro della discussione è finita spesso la produttività dei giudici (vedi anche il box in questa pagina). Nell'ultima inaugurazione dell'anno giudiziario il presidente Pajno ha parlato di un «processo di autoriforma» della giustizia amministrativa. In gennaio ha fatto debuttare il processo telematico e ha deciso di dare più spazio alle sentenze brevi, grazie a cui le controversie vengono chiuse già in una fase iniziale.

Per lui e per il Consiglio di Stato il recupero di efficienza è un banco di prova, l'occasione per dimostrare che a Palazzo Spada non ci sono solo virtuosi del comma e del cavillo.

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