Economia

Leggi il botta e risposta Marcegaglia-Ferrara sulla "frustata" del Cav

La Marcegaglia: "Quando Ferrara scorge una soluzione, ne affabula il mondo con una forza straordinaria". E Ferrara: "Non fare la prima della classe"

Leggi il botta e risposta 
Marcegaglia-Ferrara
 
sulla "frustata" del Cav

Signor direttore, la lettura dell’editoriale dedicatomi ieri in prima pagi­na mi ha molto divertita. A cominciare da quel titolo sapido, «Se anche gli imprenditori sono in balìa di una donna», che esprime meglio di tante altre parole quanto scivoloso ed equivoco resti per tanti maschi considerare le donne. Figuriamoci poi quando è una donna ad aver conquistato la leadership, invece di limitarsi ad offrire il caffè o altri servigi. Voglio lodarvi: il vostro titolo parla chiaro, non gira intorno al pregiudizio ma lo dichiara. È la cosa migliore, se vogliamo che anche in Italia, un giorno, appaia quel che è: un’anticaglia. Ma veniamo al merito. Giuliano Ferrara è fantastico. La sua natura è quella di Falstaff, generosa, volitiva, appassionata. Quando scorge una soluzione, ne affabula il mondo con una forza straordinaria. Azzerando gli altri e il resto. Gli capita così per la vicenda Marchionne-Confindustria. E per la crescita del Paese. Sul primo punto, dice che Marchionne è fuori da Confindustria, e naturalmente non è vero. Dimentica che i nuovi assetti contrattuali li ha firmati ormai due anni fa la mia Confindustria con Cisl e Uil, senza Cgil che si è tirata indietro. Ma fin qui poco male, non sindaco le sue opinioni. Come presidente di Confindustria, mi tocca però ricordare a voi e a Ferrara che la Fiat è la Fiat, ma in Confindustria ci sono decine di migliaia di altre aziende meccaniche con esigenze, storie e rapporti sindacali diversi. La svolta verso le deroghe contrattuali e le intese aziendali con il sindacato che tratta e ci sta è fatta apposta per distinguere e aprire alle molteplici esigenze delle diverse aziende e delle diverse produzioni. Capisco la fascinazione intellettuale che spinge a invocare gli «uomini del destino», ma Confindustria e Federmeccanica lavorano per la competitività di migliaia di imprese. Perché gli uomini passano, le buone pratiche restano: diminuiscono i conflitti e alzano insieme produttività e salari. Infine, la crescita. Berlusconi l’avrebbe messa al centro della sua agenda, la Marcegaglia no, scrive Ferrara. Il presidente di Confindustria si è limitato a una «polemica periferica sulla festa con pasticcini» per l’Unità d’Italia. Vediamo i fatti. Alla Festa per l’Unità d’Italia del 17 marzo dedico una sola cifra: come è congegnata, costa 4 miliardi di euro di aggravi aggiuntivi per le imprese. Ribadisco: dobbiamo tutti lavorare al meglio per stare agganciati alla ripresa mondiale, e quei 4 miliardi sono un onere pesante. L’ha riconosciuto ieri anche Giuliano Amato, che nessuno può accusare di insensibilità all’anniversario nazionale e al suo profondo significato. Se togliamo le somme giustamente e meritoriamente stanziate dal governo per l’estensione degli ammortizzatori sociali nella crisi, 4 miliardi sono più di quanto negli ultimi due anni è stato destinato alle aziende per ricerca e investimenti. Per la crescita, fa bene e anzi benissimo Ferrara a tenere premier e governo solidamente incardinati sulla nuova agenda governativa che essa sì - è nata solo da una settimana, con un annuncio al Corriere della Sera e un’offerta di cooperazione all’opposizione che Confindustria ha salutato come positiva. C’è solo un piccolo ma innegabile particolare da ricordare. Confindustria è da fine 2009 che chiede instancabilmente che questo e solo questo- il sostegno alla crescita troppo bassa da 15 anni prima della crisi e troppo bassa ora che ne stiamo faticosamente uscendo - sia la priorità politica per governo come per opposizione. Anche qui un solo numero: se digitate su Google Marcegaglia e crescita, vi usciranno 64.900 rimandi, a dichiarazioni, relazioni e proposte. All’assemblea annuale dello scorso maggio, abbiamo presentato al governo l’agenda Italia 2015 fitta di proposte concrete. Nello scorso autunno, preso atto amaramente che la politica italiana a fianco di buone riforme come quella della Gelmini continuava a battere tutt’altri temi, e che la maggioranza si dedicava ad aspre polemiche interne invece di concentrarsi sull’agenda economica, abbiamo concordato in poche settimane con tutti i sindacati, le altre associazioni d’impresa e l’intero mondo del credito una agenda per la crescita in pochi ed essenziali punti. Quell’agenda è sul tavolo della po-litica, se solo avrà voglia di mettere a frutto la coesione sociale tanto ampia che la sua convergenza esprime. Ferrara sa bene che la nostra insistenza è stata tanto forte che spesso è finita per spiacere al governo. Dunque, posso capire che mi abbia originato in passato e oggi anche attacchi e polemiche. Ma fanno parte del conto. Me li metto alle spalle. Perché il mio primo dovere è di evitare ogni collateralismo verso ogni parte politica. Ora come ora, non posso che guardare con grande favore alla svolta preannunciata per il Consiglio dei ministri di questa settimana. Ma è la po-litica ad aver perso tempo, a essersi dedicata ad altro, ad aver perso credibilità. Il nostro auspicio è che vengano varate misure chiare e vere. La riforma dell’articolo 41 della Costituzione è un manifesto utile, ma per tornare a una crescita superiore al 2% serve di più l’immediato sblocco dei fondi già stanziati per gli investimenti in infrastrutture e per la ricerca; serve una vera riforma fiscale che abbatta le tasse a lavoratori e imprese; serve infine un forte piano di liberalizzazioni: a proposito, dov’era Ferrara quando Confindustria, da sola, denunciava il ritorno alle tariffe minime per gli avvocati o per i trasportatori? L’intera Europa riserva in questi giorni l’attenzione delle sue classi dirigenti e dei media alle energiche richieste di Angela Merkel, perché tutti i Paesi dell’euro area adottino tetti vincolanti in Costituzione per l’azzeramento del deficit e limiti alla pressione fiscale. Noi lo chiediamo dal 2009. Quel che le imprese chiedono al governo è di mostrare coi fatti di essere in grado di darla davvero, la più grande frustata all’economia italiana che ci viene oggi annunciata. Quell’1% risicato di crescita dimostra purtroppo che di frustate sin qui ne abbiamo più prese, che date.

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