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Da Lehman Brothers al pesto Quando l'italianità fa ricchi

Nastasha e Giovanni con la crisi hanno perso il lavoro, ma si sono inventati un altro business: pasta fatta in casa, sughi al ragù, corsi di cucina

Da Lehman Brothers al pesto 
Quando l'italianità fa ricchi

Trovarsi senza lavoro da un giorno all'altro e inventarsi una nuova vita. Farlo in una delle città più competitive d'Europa. E passare dagli uffici della City ai mercatini rionali. Da una vita tutta corse, orari scanditi, obiettivi da raggiungere al contatto vis-a-vis con i clienti, le chiacchierate, la buona tavola. Natasha e Giovanni si sono reinventati l'esistenza puntando sul made in Italy. Che vuol dire sapori italiani, tradizione, cibi genuini. Come nella migliore tradizione di casa nostra. Ma con un vantaggio: trovarsi in un mercato, quello inglese, che guarda alla qualità della cucina italiana come a un miraggio per cui vale la pena di spendere anche in tempi di recessione. Giovanni Carleschi ha 32 anni, vive a Londra da quasi due lustri. Nella capitale inglese aveva cambiato diversi lavori, tutti ben pagati, dalle charity alle società assicurative. Poi la crisi e la disoccupazione a luglio. Stessa storia per Natasha, la sua compagna, 31 anni. Russa di origine, lei è una delle vittime del peggiore crack delle banche d'investimento, quello di Lehman Brothers. Dalla vita in tailleur, le mattine in metropolitana direzione Miglio quadrato, uno stipendio sicuro e ottime entrate, un lunedì ha scoperto che la sua carriera finiva così, come quella dei suoi colleghi americani immortalati dai fotografi con gli scatoloni in mano. Cosìè cominciata l'avventura di "Seriously Italian" (www.seriouslyitalian.com). Giovanni ha capito che c'è una cosa che sa fare bene, che ha mercato e che gli dà soddisfazione. Natasha lo ha raggiunto poco dopo. I due ora gestiscono con successo un business che si basa proprio sulla cucina italiana, con l'utilizzo di prodotti inglesi supergenuini. Gnocchi fatti a mano, dalla zucca alla rapa rossa, salse regionali, dal ragù e cinghiale al capriolo, e poi il pesto, sei diversi tipi. Tutto fatto in casa e rivenduto in cinque dei principali mercati di Londra, da Swiss Cottage a Parliament Hill. Poi le lezioni di cucina agli inglesi desiderosi di rubare i nostri segreti. Così la crisi è sparita d'un soffio. E l'italianità ha trasformato questa coppia rampante in una piccola impresa basata sul made in Italy. "I nostri ritmi di lavoro sono persino aumentati ora. Ma la soddisfazione è doppia. Il cibo italiano a Londra è riconosciuto e apprezzato perché la nostra cucina è semplice e genuina. E abbiamo scoperto che venderla non è affatto difficile", racconta Giovanni. Un'arte imparata dalla nonna e dal papà. "Una passione che hai nel sangue, insomma. Mi ricordo quando ero ragazzino, mia nonna cucinava e io la osservavo. Mio padre era un direttore di banca così appassionato di cucina che si è messo a studiare all'alberghiero mentre lavorava". La ricetta di Giovanni è tutta qui. Prodotti buoni (tutti rigorosamente cresciuti entro cento miglia da Londra). La parola d'ordine è "organic", biologico. Un business che nella Londra delle grandi catene di supermercati, del cibo esotico speziato e dei fast food, è il segreto del loro successo e di quello dei Farmers Markets, i mercatini sparsi per la metropoli dove tutto è di origine controllata e garantita. "Ci siamo accorti subito che i prodotti andavano a ruba. Nel tempo abbiamo anche capito meglio le esigenze dei nostri clienti. Facciamo le cose come le farebbe una massaia italiana e loro apprezzano e comprano". Con trecento vasetti di pesto e trenta chili di gnocchi a settimana Giovanni e Natasha si sono reinventati la vita. "Abbiamo portato la filosofia italiana a Londra. Il cibo per noi è convivialità, rispetto per chi si è occupato di coltivare gli ingredienti, rispetto per chi lo ha cucinato ma soprattutto per chi lo mangia. E' questo il concetto di italianità che abbiamo deciso di esportare". E la qualità della vita è cambiata anche per loro. Nastaha non ha dubbi: "Si fatica tanto, ogni giorno, fra i fornelli.

Ma sfido chiunque a dire che la vita in banca, anche in Lehman Brothers, fosse divertente".

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