Cronache

L'esercito delle badanti in Italia: due su tre non sono in regola

Nel nostro Paese si stimano 830mila lavoratrici domestiche e di cura, molte di più dei dipendenti del Servizio sanitario nazionale (640mila). E la maggior parte di loro è senza tutele

L'esercito delle badanti in Italia: due su tre non sono in regola

Quante sono le badanti straniere nel nostro Paese? E quante di loro lavorano in regola? Il censimento fatto dall'organizzazione umanitaria Soleterre fornisce numeri importanti. Risulta infatti che le lavoratrici domestiche migranti si prendono cura di un milione di anziani, ma che due su tre sono senza tutele.
Il rapporto "Lavoro domestico e di cura. Buone pratiche e benchmarking per l'integrazione e la conciliazione della vita familiare e lavorativa" è stato presentato alla Camera lo scorso 16 giugno in occasione della Giornata internazionale dei lavoratori domestici. Condotto in collaborazione con Irs (Istituto per la ricerca sociale) e finanziato dal Fondo europeo per l'integrazione, ha analizzato le cifre e le condizioni di lavoro e di vita di questi lavoratori. Emerge che sempre più famiglie in Europa affidano i propri cari - bambini, anziani, disabili - e la propria casa a lavoratori domestici e di cura. Si tratta soprattutto di stranieri, per la maggior parte donne, spesso vittime di discriminazioni riguardo ai loro diritti e alla protezione sociale.
Ci sono molte differenze in Europa, che si divide in due blocchi. Nei Paesi con migrazione fortemente regolata e servizi di cura pubblici ben strutturati i lavoratori domestici e di cura, anche stranieri, sono occupati prevalentemente in modo regolare. Così in Danimarca, Regno Unito e Francia. In quelli con un'offerta più debole di servizi assistenziali e regimi migratori meno gestiti l'assunzione è invece a titolo individuale e spesso irregolare, come in Spagna, Grecia e Italia. Anche se, vista la crescente necessità sociale, si stanno diffondendo le iniziative degli enti locali e dei privati del settore.
In Italia si stimano oltre 830mila badanti, un numero molto alto, se si considera che i dipendenti del Servizio sanitario nazionale sono circa 646mila. La maggior parte delle badanti è di origine straniera (ben il 90%) e lavora senza contratto. Sul totale infatti il 26 per cento non ha un regolare permesso di soggiorno, il 30,5 per cento ha un permesso regolare ma non un contratto, mentre solo il 43,5 per cento lavora in regola. La condizione di irregolarità, il riconoscimento solo parziale dei diritti e la difficoltà a raggiungere un'autonomia abitativa sono i fattori che incidono maggiormente sulla qualità della vita e sulla possibilità di conciliazione tra vita e lavoro per queste lavoratrici.
In particolare incidono sulla possibilità di un ricongiungimento con i propri figli lasciati in patria. La maggior parte delle badanti infatti è costretta ad abbandonare il Paese d'origine per mantenere se stesse e le proprie famiglie e a vivere lontano dai figli, i cosiddetti "orfani bianchi". Una situazione che crea profondo disagio psicologico nelle donne e che dal 2006 ha portato a parlare nei paesi dell'Est di "sindrome Italia" per definire lo stato depressivo di molte lavoratrici domestiche rientrate dopo anni di lavoro nel nostro Paese e anche di molti loro bambini o ragazzi. Una sindrome che ha favorito l'insorgere di comportamenti a rischio sociale ed educativo.
"In Italia gli occupati in questo settore - dice Alessandro Baldo, responsabile Programma migrazioni di Soleterre - sono quintuplicati in meno di dieci anni, soprattutto per via dell'aumento delle lavoratrici straniere, con un numero di anziani assistiti che si può ragionevolmente stimare intorno al milione. Un contributo fondamentale e preziosissimo al fabbisogno di servizi di cura e di assistenza familiare che la nostra società, in costante invecchiamento, denota. Eppure è un'occupazione ancora percepita come qualcosa di diverso dal lavoro 'regolare', quasi un 'non lavoro'. Culturalmente si fatica ad evolversi dalla considerazione di un'attività caratterizzata da rapporti informali e totalizzanti. Per questo, oltre che all'adozione di normative che garantiscano le tutele di queste lavoratrici, occorre sensibilizzare gli enti locali e le famiglie che si avvalgono del loro servizio a riconoscerne e tutelarne le condizioni di benessere psicosociale e di conciliazione dei tempi di vita, famiglia e lavoro.

Oltre a riconoscere l'impatto sociale e il debito di cura che tale sistema genera come ricaduta sulle società di partenza".

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