Politica

L'eterna voglia di egemonia di chi devastò l'Europa due volte

È dai tempi di Bismarck che la Germania cerca di imporsi come centro di tutte le decisioni del Vecchio continente. Il governo di Berlino si ispira a una visione nazionalistica dell'economia e della politica che solo la retorica europeista ha cercato di tacitare

Sulla storia dell’Europa pesa, da sempre, il fantasma della Germania, di una Germania che si è posta l’obiettivo di affermare l’egemonia sul continente. E che, alla fin fine, con questa sua vocazione egemonica è stata all’origine delle grandi crisi dell’Europa contemporanea, a cominciare dalle guerre mondiali. Quel che succede oggi, in campo economico-finanziario - e che potrebbe portare alla disarticolazione dell’Eurozona e alla nascita di un euro pesante che sancirebbe, in realtà, il fallimento stesso dell'euro - è il risultato dell’eterna tendenza della Germania ad affermarsi come punto di riferimento e guida del continente. Una tendenza di volta in volta supportata da strumenti diversi: le armi o la politica economico-finanziaria, i cannoni o lo spread. Sempre in nome dell’interesse nazionale.

La costruzione della Germania fu il grande capolavoro di Bismarck, che, alla guida della Prussia, sconfiggendo Napoleone III a Sédan nel 1870, realizzò l’unità tedesca, frustrando le ambizioni dell'imperatore dei francesi e gettando le premesse per un conflitto latente, nutrito di spinte revanchiste e aspirazioni espansionistiche, con una Francia umiliata e preoccupata. Il «cancelliere di ferro» costruì un sistema di alleanze che doveva ruotare attorno alla Germania e che avrebbe dovuto garantire l’equilibrio europeo. Anche questo era un tentativo di affermare, per via diplomatica, la vocazione egemonica tedesca sull’Europa, perché Berlino sarebbe stata al centro di tutte le decisioni concernenti la politica internazionale. Un tentativo, in altre parole, di disegnare un’Europa funzionale alla Germania.

L’unità tedesca - il «nazionalismo politico» cioè - aveva avuto una premessa nel «nazionalismo economico» teorizzato da Friedrich List, all’inizio degli anni Quaranta del XIX secolo. Questi, quando la Germania era ancora divisa in piccoli Stati separati da vincoli doganali, aveva sostenuto la necessità di una unione doganale che creasse barriere protettive nei confronti delle nazioni vicine e della concorrenza estera. E, del resto, lo Zollverein, cioè l’unione doganale tra gli Stati tedeschi e la Prussia, era diventato uno strumento di progresso economico e difesa finanziaria, ma anche, al tempo stesso, base politica per l’unificazione della Germania.
Si sa come andarono in seguito le cose. Lo scoppio della guerra mondiale fu una conseguenza diretta della cosiddetta «pace armata» ovvero della combinazione fra sistemi di alleanze contrapposti e corsa agli armamenti dell’epoca guglielmina. La storia del dopoguerra fu storia, ancora una volta, del sotterraneo conflitto tra una Francia vincitrice e preoccupata di isolare l'eterna rivale per impedirne la resurrezione, e una Germania decisa a recuperare un ruolo importante e di primazia politica nel continente europeo.

La ripresa - politica e militare oltre che economica - tedesca ci fu con Hitler e il nazionalsocialismo. Ma questa ripresa implicò il recupero della vocazione egemonica tedesca sull’Europa, tanto ad est quanto ad ovest. E fu all’origine della tragedia della seconda guerra mondiale. L’immagine dei soldati tedeschi sciamanti per le vie di Parigi e sotto l’Arco di Trionfo è emblematica e simbolica. Venne, quindi, a opera delle armi alleate, la fine del sogno nazista di un’Europa unificata sotto lo sventolio delle bandiere con la svastica e asservita all’ideologia del nazionalsocialismo. Poi il secondo dopoguerra: la spartizione della Germania, la creazione delle due Germanie, l’impegno europeista di Adenauer, l’accordo con De Gaulle che metteva una pietra tombale sull’eterno conflitto franco-tedesco ma gettava le basi di un vero e proprio «asse», sempre a vocazione egemonica, alle origini dell’attuale «direttorio» franco-tedesco.

Le vicende ultime, di questi giorni, confermano che la Germania aspira, ancora una volta, a riaffermare il primato in Europa. O a disegnare, se si preferisce, un’Europa che sia funzione degli interessi tedeschi. Interessi politici ed economici. La realtà è questa. È inutile girarci intorno. La Germania, pur a costo di destabilizzare il sistema Europa, punta ad assicurarsi un ruolo egemone in forza di un’economia in grado di crescere più agevolmente e rapidamente di altre nazioni. Il comportamento della Germania, insomma, risponde a una logica che affonda le radici in un passato lontano e in una vocazione antica. Si ispira a una visione nazionalistica dell’economia e della politica.

Ed è questo un sintomo della tendenza al recupero dei concetti di nazione e nazionalismo che la retorica europeistica ha messo in ombra o cercato di tacitare.

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