Cultura e Spettacoli

Il lettore non capisce la neolingua? Peggio per il lettore

Il lettore non capisce la neolingua? Peggio per il lettore

Il politicamente corretto nell'informazione e nei media ha effetti gravi, anche se poco visibili. Il caso più evidente resta quello delle vignette sul profeta Maometto pubblicate da Charlie Hebdo. Dopo gli attentati di Parigi tutti si sono sentiti di essere «Charlie». Ma alcune testate non abbastanza da pubblicare le stesse vignette (come il New York Times o il Washington Post). Sì, l'Europa e gli Usa sono laici, nessun problema per esempio a produrre un titolo che prenda di petto la sensibilità dei lettori cristiani, però a fare lo stesso con dei lettori di religione islamica ci si sente subito in imbarazzo. Tanto che più che di politicamente corretto, in molti casi si potrebbe parlare di islamicamente corretto. Qualcuno potrebbe spiegare in questo modo anche il successo del termine Daesh di recente diffusosi per prendere il posto di Isis in quasi tutti i giornali.

Attenzione, può sembrare una questione di lana caprina (del resto il politicamente corretto ne è pieno) ma non poi tanto. I due acronimi hanno circa lo stesso significato ma uno è in inglese e l'altro è in arabo. Il primo però fa perdere al lettore ogni riferimento comprensibile allo Stato islamico. L'input è venuto dalla politica, il francese Laurent Fabius, ha spiegato che Daesh ha il vantaggio di non dare al gruppo la dignità di Stato. Ban Ki-moon, il segretario generale dell'Onu, ha assunto un'analoga posizione, denunciando il gruppo come un «Non-stato, non-islamico». Ma si tratta di foglie di fico linguistiche ridicole. Persino parlando degli ultimi attentati a Parigi c'è chi ha centellinato «islamico» nei titoli. Questi sono esempi macroscopici ma la tendenza a normalizzare le parole, sino a spingere i giornalisti all'autocensura è fortissima. Succede anche su un argomento delicato come l'immigrazione. Esistono tutta una serie di termini vietati, che nel caso dell'Italia, rientrano in un elenco stilato dall'Ordine dei giornalisti. Tra le parole che non possono essere usate anche zingaro. Sarebbe un termine «stigmatizzante». L'intento è forse lodevole, il risultato spesso grottesco.

L'informazione sempre più reticente.

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