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Libia, l'Onu chiede il cessate il fuoco a Misurata E lancia l'allarme: migliaia di bimbi in pericolo"

L'Onu lancia l'allarme: "Serve immediato cessate il fuoco a Misurata per salvare migliaia di bambini". Amnesty International chiede l'istituzione di un corridoio umanitario perché la situazione è drammatica". A Misurata stamattina l'incontro tra il presidente del Consiglio nazionale transitorio libico Mustafa Abdul Jalil e il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini. I ribelli chiedono all'Italia un maggiore impegno militare e riconoscono come legittimi tutti i contratti sul gas

Libia, l'Onu chiede il cessate il fuoco a Misurata  
E lancia l'allarme: migliaia di bimbi in pericolo"

Serve un immediato cessate il fuoco a Misurata, la città martire assediata da settimane dalle truppe di Muammar Gheddafi, per salvare "decine di migliaia di bambini" che ogni giorno patiscono gli effetti di una battaglia cruenta che si combatte casa per casa. A lanciare l'allarme è il portavoce dell’Unicef a Bengasi, James Elder. Intanto un altro allarme lo lancia Amnesty International che dice: "Le autorità libiche hanno tagliato tutte le reti di comunicazione, isolando gli abitanti di Misurata gli uni dagli altri e dal mondo esterno. In città si formano lunghe code per il pane e la benzina, mentre le riserve scarseggiano. I combattimenti in corso stanno ostacolando l'ingresso di cibo e medicinali e impedendo l'evacuazione in sicurezza dei feriti e delle migliaia di lavoratori stranieri bloccati al porto".

Amnesty chiede un corridorio umanitario
Per queste ragione l'Ong chiede a tutte le parti in conflitto, compresa la Nato, di prendere ogni misura necessaria per istituire un effettivo corridoio umanitario e sollecita il governo locale che guida l'opposizione al colonnello Gheddafi a rendere prioritaria l'evacuazione dei feriti civili. "La situazione sanitaria è drammatica e in peggioramento, c'è grave penuria di medicine, forniture ospedaliere e generatori di elettricità. Migliaia di persone sono ferite e resta poca acqua potabile", ha aggiunto Amnesty International.

Intanto Mustafa Abdel Jalil, presidente del Consiglio di Transizione di Bengasi, in una conferenza stampa presso la Comunità di Sant’Egidio, ha assicurato che "non intendiamo uccidere il colonnello Muammar Gheddafi né spingiamo gli altri" a farlo.

Nessuna conseguenza sul gas La crisi libica non porterà conseguenze alle forniture di gas. Lo assicura il presidente del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, Mustafa Abdul Jalil, oggi a Roma per una serie di incontro con le massime autorità italiane, che ha detto: "Riconosciamo come legittimi tutti i contratti inerenti al gas e diciamo che nel futuro le decisioni a riguardo saranno molto influenzate da chi ci ha dato aiuto in questo momento. I contratti del passato saranno rispettati e riattivati".

"Grazie all'Italia, ma serve impegno militare" Ospite a pranzo della comunità di Sant’Egidio, il leader dell’opposizione libica di Bengasi a Gheddafi, ha affermato, più in generale: "Siamo venuti in Italia per ringraziare il popolo ed il governo italiano per la posizione progredita assunta nell’appoggio alla rivoluzione e per aver spinto la comunità internazionale a dare appoggio alla rivoluzione. Siamo venuti anche per assicurare il governo italiano che siamo nel giusto e vogliamo edificare la pace e la libertà e mettere la ricchezza della Libia al servizio del popolo libico. Gli italiani e gli altri che ci hanno aiutato non si pentiranno mai e quando diciamo che non si pentiranno, significa molto". Poi però Jalil torna a chiedere un maggiore impegno dell'Italia nel contrastare Gheddafi: "Quello che speriamo dagli amici italiani - ha detto - è una maggiore pressione militare su Gheddafi per spingerlo a lasciare il paese". Il presidente del Cnt ha inoltre escluso la possibilità di una soluzione diplomatica per porre termine al regime di Gheddafi, né crede sia possibile l'esilio per il raìs: "Ha messo tutta la ricchezza del popolo libico al proprio servizio e al servizio delle sue avventure militari immorali. Pertanto non può essere paragonato a Ben Ali, né a Mubarak e credo che non sarebbe accettato da nessun paese. Quindi se non sarà costretto con l’uso della forza ad abbandonare il potere, non lo farebbe mai".

La posizione di Frattini L’Italia continua però ad essere perplessa sull’ipotesi di fornire "armi vere e proprie" ai ribelli libici, come ha ribadito il ministro degli Esteri, Franco Frattini nel corso di un’audizione davanti alle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato. La fornitura di armamenti è per il ministro un'ipotesi da valutare come "extrema ratio" e sarà tema che l’Italia affronterà, con i suoi alleati, nel corso della riunione del Gruppo di Contatto, il 2 maggio a Roma. Frattini ha ricordato che l’Italia ha offerto la disponibilità a fornire strumenti di autodifesa come "sistemi radar, di disturbo delle frequenze, strumenti per la visione notturna". Nella riunione, che fa seguito a quella del 13 aprile di Doha, in Qatar, la coalizione internazionale affronterà anche, ha aggiunto Frattini, il tema di come "scongelare gli asset" per creare fonti di finanziamento per il popolo libico e, attraverso meccanismi finanziari internazionali, di come garantire l’acquisto di prodotti petroliferi estratti in Cirenaica.

Francia contraria a un intervento militare Il capo della diplomazia francese, Alain Juppé, si è intanto dichiarato "del tutto contrario" all’invio di forze sul terreno in Libia, sottolineando che gli insorti potrebbero radioguidare i cacciabombardieri della Nato, fornendo informazioni precise. "Resto del tutto contrario allo spiegamento di forze sul terreno", ha affermato Juppé durante un incontro con l’Associazione della stampa diplomatica. Secondo il ministro degli Esteri francese, "il consiglio nazionale di transizione e le sue truppe" potrebbero collaborare con le forze della coalizione nell’indicare agli aerei della Nato gli obiettivi da colpire del regime di Gheddafi. La dichiarazione arriva poco dopo l’annuncio dell’omologo britannico, William Hague, secondo cui la Gran Bretagna è pronta a inviare consiglieri militari per collaborare con il Cnt in Libia.

Questi militari "non parteciperanno alla preparazione o all’esecuzione di operazioni del Cnt", ha precisato il ministro britannico.

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