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La lobby romana che vuole Totti in Sud Africa

C’è movimento sulle bretelle di Roma. Il quadrilatero Saxa Rubra, viale Mazzini, stadio Olimpico, Trigoria: dentro e fuori le mura, dentro e fuori il Raccordo anulare. Radio, televisioni, club, calciatori. La frequenza del Tottismo. Francesco, Checco, Francé, Capitano, Re di Roma. Sinonimi per un calciatore campione e trascinato da un mondo che lo spinge chissà dove. È uno strano momento questo: Totti non c’è ma ci dev’essere. Su quel quadrilatero si muovono triangolazioni. Un controsenso geometrico per spiegare quel movimento: c’è una lobby Roma-Rai che ha deciso di montare uno che non ne ha alcun bisogno, che ha deciso di sponsorizzare uno che lo fa abbastanza da solo, che ha scientificamente o quasi stabilito di dargli una mano senza capire che coi piedi Francesco fa più cose di quante tutte quelle voci che adesso si alzano dai canali televisivi possono fare.
Vogliono riportare Totti in nazionale, lo vogliono al Mondiale, lo vogliono con Lippi: è un incalzare, un invadere, un lanciare ami. L’intervista di fine anno del Tg1? A Francesco Totti. Come se fosse l'uomo del 2009 e poi del 2010, come se fosse ancora quello che era qualche anno fa, ovvero la speranza di tutto il calcio italiano, il leader della nazionale, il campione dei campioni. Poi Domenica In, con l’intervista a Marcello Lippi dentro la quale lo spot pro Totti è stato quasi imbarazzante. Poi ancora Festa Italiana, un programma che di solito parla di società, vip, gossip, cronaca varia, invece lunedì s’è lanciato in un bel servizio su Totti: «Re di Roma, l'uomo dei sogni, il campione che vuole prendersi il futuro». Superlativi ed esagerazioni, per l’ultima dose di tottismo. Un caso? Diranno di sì, eppure viene il sospetto che non sia così: c’è che la Rai, col suo romacentrismo, vuole giocarsi il suo mondo sperando di contare ancora qualcosa. Perché non esiste molto altro nello sport Rai se non il mondiale, e avere Totti in Sud Africa per loro deve significare sentirsi evidentemente parte di qualcosa. Oppure è solo tifo: la gran parte dei dipendenti Rai è romana e la gran parte dei romani è romanista e la gran parte dei romanisti pensa che il mondo senza Totti non sia mondo. In un caso o nell’altro, questa è una vicenda bizzarra. Sfiora il ridicolo, visto che a Totti non serve: se gioca, se segna, se serve, andrà ai mondiali. È questa tutta la questione, no? Il Sud Africa. Allora ci aspettano mesi di pressing asfissiante. Vogliono trascinare il capitano della Roma nello stesso posto da dove lui è scappato. Bisogna ricordare per capire. Bisogna andare a quel giorno in cui Totti disse basta con l’Italia: «Voglio concentrarmi solo sulla Roma e poi sono stufo delle accuse e delle critiche. Io ero orgoglioso di far parte del gruppo di quella squadra. Ma al Mondiale del 2006 mi hanno attaccato in troppi ed è successo solo perché sono romano». Sapeva che non era vero. A rimorchio per giorni documenti, interviste, filmati, ricordi, memorie, battute: «Tutte le volte che il resto d’Italia ha distrutto Totti». Tutto il Paese si ricorda che la coppa del Mondo è stata vinta grazie a lui. Giocò praticamente mezz’ora in tutto. Mezz’ora contro l’Australia: il tempo di lanciare Grosso, di fargli prendere il fallo e poi di battere il rigore più difficile della carriera. Basta. Può anche avanzare, volendo. Invece il mondo che gli sta accanto deve avere sempre un sorso per autoalimentarsi. Allora l’intervista, il livore, l’atteggiamento da io-solo-contro-tutti. Poi Manchester, la sfida contro lo United e quell’altra uscita da numero uno a ogni costo, da legionario romano alla conquista del mondo: «Per me questa partita vale più della finale del mondiale. Questa è la Roma». Perse 7-1.
La Rai? Anche in quelle due conferenze stampa giocò un ruolo decisivo: neanche una critica, neppure un rimprovero. Totti non si tocca. Nessuno vuole farlo perché è un calciatore stupendo, eccezionale, straordinario. Non unico, ma raro. Però oggi non è l’uomo dell'anno. Non ancora. Ora è uno dei tanti. Il mondo che lo circonda lo spinge di nuovo verso un posto che ha rinnegato e che Lippi vuole ridargli. Ma non servono le lobby, non servono trasmissioni che non sanno niente di pallone, ma lo usano per lanciare un messaggio subliminale. Serve un campo e un pallone, un po’ di silenzio. I gol, magari.

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