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Londra, processo ai genitori dei baby teppisti

Un terzo dei vandali è minorenne. E nei tribunali i giudici se la prendono con le famiglie assenti. Madre coraggio vede in televisione la figlia atleta olimpica che sfascia un'auto e la denuncia. Anche Cameron punta il dito sull'educazione

Londra, processo ai genitori dei baby teppisti

A ciascuno la sua colpa e se quella dei vandali di Londra è di aver distrutto, incendiato, rubato e percosso, quella dei loro genitori è di aver creduto che i propri figli, durante le ore di violenza, fossero in cameretta a navigare su internet o al massimo in giro con gli amici tra una birra e una partita di flipper. Invece David Cameron è stato chiaro: «La responsabilità è tanto dei teppisti quanto dei genitori: invito tutti a tenere più spesso i figli a casa e a non lasciarli correre in giro senza controllo».
Parole coraggiose. Di solito i politici faticano a puntare il dito sui genitori, preferendo incolpare entità più astratte come «la società postmoderna». Davanti, però, a numeri inoppugnabili, Cameron ha deciso di non tergiversare: quando su 796 vandali alla sbarra nei tribunali di tutta Inghilterra 240 sono minorenni (e nella sola Londra), è chiaro che nelle famiglie inglesi qualcosa scricchiola in termini di educazione e vigilanza. E se l’età media dei 1600 arrestati è di 23 anni e il 92 per cento sono maschi, ecco che, di nuovo, è la famiglia, soprattutto la figura paterna, ad accusare qualcosa di più che una sporadica defaillance.
Non è nemmeno una questione di periferie disastrate e di emarginazione sociale: tra gli arrestati ci sono vuoi una diciottenne ambasciatrice delle prossime Olimpiadi 2012, Chelsea Ives (che ha distrutto un’auto della polizia e che alla fine, caso rarissimo, è stata denunciata dai suoi stessi genitori), vuoi una diciannovenne ereditiera, Laura Johnson, vuoi una dozzina di quasi-bambini che non hanno potuto nemmeno essere convocati a giudizio. Più che con il «melting pot 2.0», in questi giorni la Gran Bretagna sta facendo i conti con il crollo della famiglia.
Ma anche quando in tribunale è finito qualcuno di più grandicello, i genitori sono riusciti a fare una figura ambigua, se non pessima. Tre giorni fa il giudice distrettuale Elizabeth Roscoe si è trovata davanti una quattordicenne colta in fragrante mentre usciva da un negozio devastato trascinando con sé diverse borse piene di merce rubata, tra cui CD, vestiti, profumi e accessori per il make up. «Non posso rilasciarla - ha detto il giudice all’avvocato della difesa - se non so se ha qualcuno a casa». Dopo una lunga ricerca la madre è stata rintracciata e la figlia rilasciata su cauzione e con l’obbligo del coprifuoco. Congedandola, la Roscoe le ha detto: «Sei fortunata, molti non hanno avuto nessuno che sia venuto a prenderli. I loro parenti non se ne preoccupano».
Le parole del giudice Roscoe hanno colpito l’opinione pubblica e gruppi di genitori hanno organizzato cortei per invitare a «riprendersi l’educazione dei propri figli», dal momento che, se è vero che alcuni familiari erano presenti quando i figli sono stati rinviati a giudizio, talora senza cauzione (come il minorenne Jeffrey K.: «Vi prego - ha supplicato sua madre alla giuria - non lo rovinate per un momento di follia»), è stato altrettanto lampante, agli occhi dei giudici, che molti imputati avevano famiglie assenti o nel migliore dei casi una madre single incapace di imporsi. E così, questi adolescenti si sono affezionati di più, nel tempo, come ha detto l'«ambasciatore della Big Society» Shaun Bailey, «a un paio di jeans griffati e allora li hanno rubati.

Si comportano in questo modo perché gli abbiamo lasciato intendere che possono farlo».

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