Controcultura

L'opera di Comisso è tutta una «Gioventù che muore»

La delusione come destino e l'avventura (di Fiume) come parentesi troppo breve. Ma la sua arte rimane...

L'opera di Comisso è tutta una «Gioventù che muore»

Sì, Giovanni Comisso, lo scrittore dell'attimo, della notazione sensuale, tutto superficie. Va bene, è giusto. Però, cari critici, lasciatevi raccontare cosa succede a noi lettori. Dopo un anno dalla chiusura del libro, ancora ci divertiamo a rigirare nella mente le immagini di Gente di mare. Dopo 5 anni, sono ancora lì, nella nostra testa, le tempeste, le rade, il contrabbando, la morte del marinaio Angelo, il porto, il capitano, Enrico il mozzo. Dopo 15 anni, in effetti, quando guardiamo il mare, con quella sua luce bianca o quei lampi in lontananza, beh, insomma, ci viene in mente Comisso. Dopo trent'anni, ecco, un dubbio ci coglie, forse tardivo anzi decisamente tardivo. Se da tre decenni non riusciamo a osservare un'onda senza pensare a Gente di mare, forse tanto superficiale, tanto risolto nell'attimo dell'osservazione sensuale non può essere questo Comisso. Infatti non lo è. Per niente. Nato (1895) e morto (1969) a Treviso, Comisso, il primo Comisso, quello de Il porto dell'amore (1924), Gente di mare (1928), Giorni di guerra (1930) è il sogno. Il sogno che la gioventù sia eterna, che il mondo sia disponibile a ogni scorreria, che la vita abbia sempre il sapore del miele e delle pesche. La morte? Anche la morte si può accettare, a certe gloriose condizioni, in pieno sole, a dorso di mulo, in mezzo alla verde natura, per una giocosa fucilata del nemico, come in Giorni di guerra, sul fronte del Carso. Purtroppo il sogno è minato alla base, come Comisso scriverà nello splendido Lamento del conservatore (Henry Beyle, 2017), uscito nel maggio 1968, quando i giovani salivano sulle barricate, ignari «del cinico scorrere e mutare» del tempo che leva la maschera alla vita, rivelandone il «volto tremendo»: quello della vecchiaia. La delusione è dunque il nostro destino. È già evidente nell'esordio del Porto dell'amore, un diario molto sui generis dell'occupazione di Fiume (1919-1920), una gloriosa avventura sospesa tra nazionalismo e sensualità, la conquista (e poi la perdita) di un luogo dell'anima e della politica in cui nuove leggi si impongono con la forza ma prescrivono la dolcezza di un bacio scoccato in un bosco, a mezzanotte. Dopo tanta bellezza e tanta passione, l'aridità dell'età matura è un duro risveglio. Sono emozioni e pensieri universali. Per questo motivo non si riesce a dimenticare Comisso.

In quanto alle imprecisioni grammaticali, alle indecisioni stilistiche, alla incerta costruzione dei romanzi d'invenzione... Come sopra, tutto vero. Ma cosa conta? Se la fragile giovinezza (dell'animo) e la purezza (dello sguardo) hanno avuto un poeta, questo è stato Giovanni Comisso. Le virgole non sono tutte quante al punto giusto? Ce ne faremo una ragione. Il luogo comune dice che Comisso è estravagante rispetto alla tradizione italiana, a parte un certo dannunzianesimo per così dire dimesso. Anche in questo caso, può essere. Ma che cosa dire di chi è venuto dopo di lui? I Sillabari dell'amico Goffredo Parise, anche se completamente originali nel loro enigmatico splendore, sono forse ipotizzabili senza Comisso? Certamente no.

Diamo un'occhiata rapida alla biografia. Comisso ha combattuto la prima guerra mondiale e ha occupato Fiume, agli ordini di Gabriele d'Annunzio. Ha scritto per molti giornali, soprattutto il Corriere della Sera e Il Mondo di Mario Pannunzio. Il suo migliore amico è stato Filippo de Pisis. Il grande Valery Larbaud avrebbe voluto lanciarlo in Francia su segnalazione di Eugenio Montale, stessa operazione riuscita nel caso di Italo Svevo. A proposito: e Montale? Sembra provenire da tutt'altro universo letterario. Cediamo la parola al poeta: «Ho cambiato case tante volte nella mia vita. Non erano della stessa dimensione queste case e spesso si trovavano in città diverse. I libri, a migliaia, sempre furono vittime di questi traslochi. Impietoso in ogni occasione, io che avevo libri fino nella stanza da bagno, li regalavo, li gettavo via. Anche di recente ho cambiato casa. E l'altra sera, andato in biblioteca, ho voluto rendermi conto dell'ultima decimazione prendendo a caso uno dei libri rimasti. Aperto vidi che era un Comisso. Eppure non mi ricordavo con piena coscienza di questa scelta, ma ne ero comunque rallegrato. Presi allora un altro scaffale, e ancora mi trovai in mano un Comisso. E così ancora e ancora... Mi resi allora conto di quale stella brillante e misteriosa vegliasse sulle mie scelte, la stella Comisso».

Non ci si separa mai da questo scrittore... Eppure è proprio quello che è accaduto troppo a lungo. Comisso infatti è stato uno dei grandi dimenticati dall'editoria italiana. Ora La nave di Teseo provvede a sottrarlo all'oblio con una preziosa collana dove troverà spazio l'intera opera. Vasto programma: Comisso ha scritto tanto, secondo i critici perfino troppo. Può essere ma intanto ricominciamo a leggerlo, consapevoli che Comisso ha fatto di tutto pur di campare di sola letteratura e giornalismo (che coincide con la letteratura almeno nel caso dei lunghi reportage di viaggio).

Il primo titolo della collana è programmatico: Gioventù che muore (La nave di Teseo, pagg. 222, euro 18, con una prefazione di Paolo Di Paolo, in libreria dal 9 maggio). Il tema del libro, uscito in prima edizione nel 1949, va dunque al cuore dell'ispirazione di Comisso. La storia d'amore tra Adele, una donna emancipata nell'Italia degli anni Trenta-Quaranta, e il non ancora ventenne Guido, scapigliato e avventuroso, attraversa il periodo buio della fine del conflitto mondiale. La coppia è travolta eppure resiste. Che l'amore sia più forte della morte? Ve lo lasciamo scoprire da soli.

Comisso getta uno sguardo anticonformista sui mesi terribili che vanno dall'8 settembre 1943 alla Liberazione. Non c'è dubbio che sia in corso una guerra civile, non c'è dubbio che la carneficina proseguirà nonostante l'armistizio, non c'è dubbio che gli Alleati, in quanto a crimini, non siano sempre stati migliori del nemico. Il crudele bombardamento di Treviso, rasa al suolo con bombe incendiarie, è lì a ricordarlo sia ai personaggi del libro sia ai lettori. Detto questo, non aspettatevi un romanzo di guerra. Lo sfondo interessa a Comisso in quanto i caduti sono «gioventù che muore». Non c'è rammarico. Sono morti in modo onorevole. La vecchiaia raramente concede questa opportunità. La vecchiaia è lo spettro che incombe sui protagonisti. Adele, quarantenne, «aveva troppo creduto nella sua giovinezza come a una stagione senza fine». Guido è disincantato: «Non valeva la pena proseguire negli anni per diventare curvo e grosso come suo padre, che non avrebbe voluto rivedere; perché sarebbe stato come un guardarsi allo specchio». La morte a vent'anni non è vera morte. È un balzo dalla perfezione all'eternità, che evita l'umiliazione del declino fisico e mentale. Guido ha già rimpianti dolorosi: «Io ho un amico... e quando eravamo ragazzi, siamo scappati di casa per andare a vivere sulla riva di un fiume: rimanemmo quasi tutta l'estate, abbiamo mangiato pomodori crudi e pannocchie arrostite e frutta, che si andava a rubare, si viveva nudi, si dormiva in una capanna: sono stati i giorni più belli della mia vita».

La lunga citazione serve a introdurre Guido Keller, modello (quasi) dichiarato del Guido romanzesco. Guido Keller fu aviatore, eroe di guerra, futurista, artefice dell'occupazione di Fiume, ufficiale prediletto da Gabriele d'Annunzio. Artista senza opere ma con molte azioni, si indignò per il Trattato di Rapallo, che istituiva lo Stato libero di Fiume, rispedendo a casa il Vate e i suoi legionari. Rapito dalla rabbia, Keller realizzò il suo capolavoro situazionista volando fino a Roma per scagliare sul Parlamento il famoso pitale contenente rape e carote per i conigli di Montecitorio, arrendevoli di fronte agli Alleati, amici nella guerra e nemici nella pace. Dalla sua vulcanica immaginazione, rimessa in ordine da Comisso, nacque il movimento battezzato Yoga, Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione.

L'omonima rivista, scritta quasi per intero da Comisso, voleva essere la parte culturalmente più avanzata dell'impresa di Fiume. Yoga dibatte di abolizione del denaro, libero amore, eliminazione delle carceri, urbanistica, riforma dell'esercito. In campo artistico, Comisso esalta Filippo de Pisis e Giorgio de Chirico. Yoga era avanguardia ma fu superata (e svuotata di senso) dalla Carta del Carnaro, la costituzione promulgata da D'Annunzio e Alceste de Ambris. Keller e Comisso divisero anche la vita privata. Affittarono una villa tra le colline intorno a Fiume e si dedicarono a lunghe passeggiate nella natura. Keller, come il Guido del romanzo, amava il nudismo, arrampicarsi sugli alberi, dormire all'aperto e nutrirsi di insalata condita col miele. Nato nel 1892, aveva rischiato mille volte di morire in volo. Morì invece in un incidente automobilistico nel 1929. Era un uomo deluso, non c'era stata alcuna rivoluzione, il Vate aveva mollato sul più bello, il Duce aveva scelto il regime.

In Gioventù che muore, Comisso celebra a ciglio asciutto il compagno di avventura e di riflesso la propria giovinezza fiumana. Comisso però non rimarrà un reduce tutta la vita. Saprà reinventarsi pur sapendo di essere inseguito, passo dopo passo, dal misterioso destino chiamato «morte».

Alessandro Gnocchi

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