Politica

«La lotta all’Hiv è a 360°, stiamo sperimentando un vaccino»

Dieci anni di ricerca. Dieci anni nel solco di una lunga tradizione rinnovata da una riforma che ha mutato il volto dell’Istituto Superiore di Sanità senza alterarne i tratti di autorevolezza, prestigio ed eccellenza e senza tradirne la missione di servizio pubblico diretto a tutelare la salute dell'intera collettività. Di questi ultimi due lustri, festeggiati a Palazzo Chigi insieme al Sottosegretario di Stato Gianni Letta ed agli ultimi quattro ministri della Salute e con la pubblicazione di un volume edito in collaborazione con l’Ansa, ne abbiamo parlato con Enrico Garaci, presidente dell’Istituto ed artefice, in un certo senso, della riforma varata dieci anni fa, che disegnò il nuovo Istituto, trasformando ciò che era un organo tecnico del Servizio Sanitario Nazionale in quello che oggi è anche un ente pubblico di ricerca dotato di autonomia scientifica ed amministrativa.
Professor Garaci, cosa era ieri l’Istituto e cosa è oggi, a dieci anni di questa riforma?
È la stessa eccellenza di ieri, con la stessa capacità di essere al fianco del Servizio Sanitario Nazionale, di fare una ricerca destinata a tradursi in nuove terapie, prevenzione, strumenti diagnostici precoci, da portare direttamente dal laboratorio al letto del paziente, ma con una marcia in più: la possibilità di fare sinergie con altre istituzioni, con aziende, qualora ci sia una coincidenza di interessi sulla salute pubblica, come è stato per esempio per la creazione di una banca dati per l’antibioticoresistenza, al servizio di tutta la sanità pubblica, per migliorare l’uso del farmaco ed ottimizzare la spesa sanitaria. Con la possibilità di ritagliarsi uno spazio di politica autonoma di ricerca scientifica, oltre a quella che deve rigorosamente fare al servizio di Ministero e Regioni.
Un lifting oppure un rinnovamento profondo?
Né l’una, né l’altra cosa. Di vecchio non abbiamo buttato quasi nulla, tranne, forse, una eccessiva burocratizzazione nei meccanismi amministrativi, che abbiamo cercato di rendere più flessibili ed adatti ad affrontare il panorama competitivo in cui oggi si sviluppa la ricerca scientifica. Direi piuttosto che siamo andati aggiungendo qualcosa. Lo stesso spirito di ieri nel supporto al Servizio Sanitario Nazionale, come sottolinea l’attuale stretta collaborazione nell’emergenza scattata con la diffusione dell’influenza A, ma con una capacità nuova di fare accordi nazionali ed internazionali. Un esempio per tutti quello del 2003 con i National Institutes of Health, di cui oggi stiamo già raccogliendo i frutti e nei quali è stato realizzato un importante filone di ricerca contro i tumori, attraverso lo studio dei micro-Rna e dei marcatori precoci di diagnosi, in un contesto scientifico innovativo che promette, con fondate speranze, cure non invasive e maggiormente mirate sul profilo genetico dell’individuo.
Una strada difficile come quella della lotta contro l'Aids?
La lotta contro l’Aids in Istituto è oggi a trecentosessanta gradi. Dal Registro che sorveglia l’andamento dell’epidemia in Italia fino al telefono verde per orientare i malati e le persone a rischio, agli studi sulle terapie, alla creazione di infrastrutture nei Paesi poveri, fino allo studio del vaccino contro il virus, che sta per varare la fase 2 di sperimentazione. Un orgoglio, quest’ultimo, non solo scientifico, ma anche etico. Il successo di un vaccino sarebbe l’unica risposta concretamente possibile per ridurre significativamente la mortalità nei Paesi in cui i morti per Hiv/Aids raggiungono cifre drammatiche, per motivi diversissimi, da quelli culturali a quelli strutturali. Uno scenario che rende difficile programmare strategie efficaci di somministrazione di terapie alla popolazione.
La lotta alle malattie della povertà è antica quanto l’Istituto, che nasce grazie alla Fondazione Rockfeller con un programma per combattere la malaria. Ma oggi la tradizione di ricerca contro le malattie infettive continua e vanta addirittura lo studio di un vaccino universale.
Ernst Chain, che lavorò da noi, vinse il premio Nobel per le sue scoperte, insieme a Fleming, sulla penicillina ed organizzò la prima fabbrica pubblica di questo farmaco che fu il padre di tutti gli antibiotici. Oggi questa tradizione continua ed il vaccino universale contro l’influenza rappresenta uno studio importante, anche perché potrebbe aiutarci ad affrontare la minaccia costante dovuta alla capacità di molti virus di mutare rapidamente, mettendo in difficoltà le autorità sanitarie, che non sempre potrebbero essere in grado di intervenire tempestivamente nel caso di pandemie.
Uno dei volti più moderni dell’Iss è rappresentato dalla crescita del numero dei brevetti, un pianeta completamente nuovo per ricercatori pubblici al Servizio dello Stato.
Questo è uno dei frutti della riforma. Grazie all’autonomia amministrativa e scientifica è stato possibile promuovere il trasferimento tecnologico della ricerca, un campo in cui l’intero settore della ricerca è deficitario nel nostro Paese, in particolare quella pubblica. Dal 2001 ad oggi, grazie all’istituzione di un ufficio brevetti, si è letteralmente moltiplicato il numero delle proprietà intellettuali dell’istituto, che oggi conta su 25 accordi industriali e circa cento brevetti. Uno stimolo per il ricercatore, i cui vantaggi però si riflettono sull’intera istituzione.
Tornando alla ricerca, tra le più moderne, frutto degli studi epidemiologici, c’è il cosiddetto «benchmarking» e cioè un confronto tra gli esiti delle prestazioni sanitarie, un'operazione molto diffusa in America ed in molti Paesi Europei ed assolutamente assente in Italia. Come mai?
In Italia, dove la Sanità pubblica è molto forte, non c’è una cultura della competizione tra strutture in senso stretto. Ciò che noi abbiamo cercato di fare, per esempio, con gli studi sugli esiti della mortalità dopo gli interventi di by-pass aortocoronarico non è stato, però, per capire chi fossero i buoni ed i cattivi o piuttosto il più bravo della classe quanto, invece, per promuovere un confronto tra gli operatori, offrire dei dati perché ciascuno, riflettendo sulle condizioni in cui quei dati sono stati ottenuti, potesse migliorare le proprie prestazioni, riflettere sulle eventuali criticità e superarle. Un’operazione che non è stata né facile, né indolore, ma che continuerà attraverso altri studi su altre prestazioni sanitarie, poiché ci sembra un approccio importante e concreto non per favorire una cultura di mercato rispetto al valore delle strutture o delle prestazioni, ma per fornire strumenti utili al confronto ed alla discussione. Per migliorare la qualità dell’assistenza.
Tra gli eventi più recenti Gianni Letta ha ricordato a lungo i 100 anni della Montalcini e l’aula che le avete dedicato come una delle celebrazioni più emozionanti fatte in suo onore.
Abbiamo scelto di dedicare uno spazio importante a Rita Levi Montalcini, sia concreto che simbolico: un’aula e, come ha ricordato Letta, abbiamo cercato di raccogliere la storia che la riguardava e la ricollegava a noi, attraverso testimonianze e letture che le sono state dedicate. Attraverso questo omaggio abbiamo così riattraversato anche la memoria di tutti gli altri Premi Nobel che hanno abitato i nostri laboratori, da Chain a Fermi, a Bovet. Con questa scelta abbiamo cercato di riunire l’espressione umana e quella scientifica del lavoro di un ricercatore, per sottolineare come la scienza sia fatta dagli uomini e per gli uomini, attraverso le loro emozioni ed al servizio della vita.

Un orientamento questo che io ho trovato già in Istituto e che nessuna riforma ha mai cambiato.

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