Cultura e Spettacoli

L'ultimo atto di Gentile filosofo scomodo che non voltò gabbana

"L'ospite" racconta la fine tragica dell'intellettuale, ucciso dai partigiani perché rimasto fedele al regime

Giovanni Gentile interpretato da Amerigo Fontani
Giovanni Gentile interpretato da Amerigo Fontani

Lenzuola bianche, come le mura e le porte, come le tende che sventolano dentro la villa sulle colline di Fiesole in cui Giovanni Gentile trascorse i suoi ultimi giorni prima della sentenza di morte eseguita da partigiani gappisti. Inizia così il film L'ospite , opera prima di Ugo Frosi. L'immagine è quasi onirica come se il protagonista di questa tragica storia, interpretato con sorprendente adesione anche fisica da Amerigo Fontani, ritornasse con il pensiero in quella villa-prigione che ospita - dice il regista - «brandelli di memoria come i personaggi che vi appaiono». Settantuno anni dopo l'assassinio di Gentile, L'ospite cerca di portare nelle sale (per ora solo a Firenze, dove l'Anpi davanti al cinema Colonna ha espresso preoccupazione per iniziative che «abbiano il solo scopo di screditare la lotta di Liberazione e contestualmente riabilitare il fascismo») la figura di uno dei più grandi filosofi del secolo scorso che non ha mai rinnegato la tessera del partito fascista. Fino alla fine. Non voltando nessuna gabbana, nel momento in cui i più, anche tra gli intellettuali, lo facevano, sia perché 20 anni prima aveva giurato fedeltà a Mussolini, sia perché credeva nel concetto paradossale di «concordia» (usato più volte filosoficamente da Gentile nella sua militanza politica fascista) e sperava che «un largo spirito pacificatore» potesse risollevare l'Italia. Una linea che non piaceva né ai fascisti, né ai partigiani e che il film racconta bene. Come quando Gentile ha un colloquio con il prefetto di Firenze (interpretato da Gianluca Brundo) per chiedergli di liberare alcuni conoscenti ebrei che altrimenti sarebbero finiti nei campi di concentramento (come poi avvenne). Dalle parole del prefetto si capisce che Gentile, una delle figure intellettuali di primo piano di tutto il ventennio (ministro dell'Istruzione fino alle dimissioni nel 1924 dopo il delitto Matteotti ma non in polemica con Mussolini, anzi; direttore della Normale di Pisa, estensore del Manifesto degli intellettuali fascisti, animatore dell'Enciclopedia italiana), non era più tanto ascoltato anche perché - viene ammonito - «chi invoca la concordia si arrende al nemico».

Un altro dei temi fondamentali su cui ruota L'ospite , titolo che gioca sulla doppia accezione di chi ospita e di chi è atteso come ospite (la morte?), è quello del mondo accademico vicino al filosofo. Il film, scritto dallo stesso Ugo Frosi, si sofferma, attraverso alcuni flashback, sulla cerchia degli intellettuali a lui più vicini tra i quali c'è anche chi concorderà con i responsabili del Comitato di liberazione nazionale la condanna a morte del filosofo, non senza pilatescamente avvertire che «l'uomo è mite e anche benvoluto». Non è certo un caso se il regista non ci mostra i volti di chi prese la decisione finale anche se il partito comunista ha sempre rivendicato l'esecuzione. Indubbiamente il regista ha letto il libro di Luciano Mecacci La Ghirlanda fiorentina e la morte di Giovanni Gentile pubblicato lo scorso anno da Adelphi in cui viene coinvolto il meglio dell'intellighenzia italiana dell'epoca, da Cesare Luporini (che, intervistato alla radio nel 1989 su quelle vicende, rispose: «Sono cose che forse ancora non si possono dire»), a Eugenio Garin, Antonio Banfi, Mario Manlio Rossi, Guido Calogero, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Concetto Marchesi. Su questo tema è incisiva la descrizione che L'ospite fa di un ex studente interpretato da Luca Guastini. Di nome fa Cesare (proprio come Luporini, chiamato a insegnare da Gentile alla Normale di Pisa) e si mostrerà impreparato agli imminenti tragici eventi: «Mi sento un vile, lui c'è sempre stato, come un padre, il posto lo devo a lui, e ora gli volto le spalle?», dice alla fidanzata che pragmaticamente gli chiede: «Ma non hai pensato al tuo futuro?».

Insomma siamo al bivio della storia d'Italia, al momento in cui bisognava scegliere da che parte stare, «manca l'aria e il respiro, manca la voglia di guardarsi intorno, di cercare lo sguardo degli altri…» scriveva Gentile nel gennaio del 1944, tre mesi prima di essere ucciso.

Il film, prodotto da Movie Factory di Francesco Paolo Montini (lo stesso del recente e sorprendente Perfidia di Bonifacio Angius), non regala certezze ideologiche ma si interroga sulle scelte di un uomo che, umanamente, alla fine si chiede: «Forse ho sbagliato tutto».

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