Cultura e Spettacoli

La luna buona della Spaziani

Come in tutti i suoi libri, anche in La luna è già alta (Mondadori, pagg. 200, euro 9,40) Maria Luisa Spaziani è prodiga di sentenze e versi esemplari, isolabili in virtù di una forza rappresentativa che assume un più ampio significato: di poetica o di strategia esistenziale, e a volte l’una e l’altra cosa insieme. Come in questo energico precetto: «Bruciare ogni minuto, ribellarci/ ad ogni grigio, e non temere il nero», che traggo da un testo occasionato dalla beatificazione di Padre Pio. Siamo nella settima sezione (Filosofia figurata, II) delle dieci in cui l’opera si suddivide. In causa è la «commozione popolare», che, pur non «sapendo», «sa»; e staccarsi dalla circostanza specifica è sempre rischioso; ma se «Dev’essere il nostro massimo segreto/ non disperdere il tempo, la fiamma», par di capire che quel «segreto» allarghi il suo àmbito e che dalla lezione del venerato frate di Pietrelcina si trasmetta a ciascuna creatura, e in particolare ai poeti, l’obbligo delle scelte coraggiose.
«La luna è già alta»: più che la ribadita attitudine a scrutare nei cieli, propria dei poeti sia contemplativi sia speculativi, qui vibra un richiamo a non sprecare il tempo: quello assegnatoci sta per scadere. Nessuna novità? Quando mai l’angoscia della consunzione - anni, ore, minuti - non ha suscitato profonda risonanza, dolore e disinganno, in primis negli artisti della parola? Ma questa «luna» che la Spaziani sùbito privilegiò (rammento la Luna d’inverno e quella del 30 giugno ne Le acque del sabato, 1954; e la breve raccolta Luna lombarda, 1959), questa luna che da bambina la «ossessionava», per poi diventarle «amica», si istituisce a suo pensiero costante: «Penso sempre alla luna», dice Maria Luisa, e con la luna discorre servendosi degli stessi «tredici aggettivi» adoperati da Leopardi. Sono «lettere d’amore», un intreccio di domande e risposte: «Finché non si spenga» lassù la «Bella pagina bianca tanto simile/ a quella su cui» il poeta scrive.
«Finché non si spenga»: Leopardi e altri hanno già cantato il ciclico morire della luna ai nostri occhi e il suo ciclico rinascere. Ma là dove, secondo il dettato leopardiano, sparita la giovinezza, «la vita mortal (...) non si colora/ d’altra luce giammai né d’altra aurora», qui invece la parte del libro che più ci coinvolge, l’ultima, Destinazione Omega, pur segnata dalla percezione di un’imminenza, di traguardo forse non troppo lontano, emette messaggi di scintillante vigore. E mentre da un lato osa perfino la preghiera a Dio, dall’altro esercita una sua ironica freschezza che tiene a bada qualsiasi indizio di decadenza: «Facendo il bagno si distaccano/ miniscaglie di pelle defunta./ Ma il corpo è vivo e instancabile appresta/ nuovi strati di pelle».
Un antidoto ai distacchi d’ogni genere lo porge sempre la memoria (la raccolta del 1966 era Utilità della memoria). Personaggi letterarii e non, incontrati nei libri o fisicamente incrociati sulle vie della terra, dànno una ricchezza plurima e cordiale a quest’opera che fra l’altro, venendo dopo La traversata dell’oasi (2002), canzoniere amoroso interamente «dal vero», profitta anche delle tracce di quella passione o le cancella. Fra tante soccorrevoli apparizioni, Picasso e Luchino Visconti; i poeti più cari (Bassani, Bertolucci, Caproni); i quasi leggendarii Mitridate e Archimede; i grandi santi Ignazio e Agostino... E Racine e Renard, latori di ottimi consigli; e gli spiriti di Lorca, di Bizet, aleggianti nei luoghi in cui vissero. E Chopin, con la sua musica piena di sorprese...
Ma, più che su questa composita galleria, il libro, fin dall’apertura, si costruisce su temi essenziali: il «sangue» e l’«acqua» (la fonte), il «piacere» e l’«ispirazione» (la «grazia»). Valori-simbolo, tanto più robusti quanto più si legano a vicende provate in «prima persona». E allora il tattile approccio alle montagne che videro il padre soldato nella Grande Guerra, o il «seno caldo» della madre che in un freddo dicembre fece da «scudo» a Maria Luisa neonata fruiscono di una doppia fortuna: l’evento reale si perpetua nel proprio stigma simbolico. Pena (e ansia) con ironia, dicevo alludendo alla crescente percezione del congedo: e in chiusura del libro, eccole, pena e ironia, l’una a ridosso dell’altra. Al conforto che viene dalla figlia («lei mi consola e ridendo mi giura/ che quanto è da salvare si salverà») segue l’estroso proposito di temporeggiare col «primo messaggero della morte», opponendogli il famoso, inesplicabile «Preferirei di no» del Bartleby di Melville! In simili frangenti, chissà, anche una citazione potrebbe giovare..

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