«L'unione fa buon vino. E business»

Prima degli anni '60, in Italia, chi nominava «Brunello» rischiava di sentirsi rispondere: «Brunello chi?». Perché Montalcino non era ancora così conosciuto: il vino toscano era il Chianti e il suo fiasco impagliato che troneggiava sulle tavole degli italiani ne sanciva il solido primato. La parola «Brunello» non evocava niente, nessun vino a cinque stelle, nessun enologo famoso, e nemmeno paesaggi bucolici ricamati da filari e da stradine bianche. Più che altro Montalcino era noto per il primato della miseria: il paese più depresso della provincia di Siena aveva più pascoli che vigneti, problemi di occupazione e una popolazione in fuga dalla fame.
La storia della metamorfosi l'ha raccontata tra gli altri Ezio Rivella, il cavaliere del Brunello, l'enologo amato e odiato in egual misura che ha contribuito a rendere il vino un marchio forte del made in Italy. In un suo libro del 2006 («Io e Brunello») racconta di come Montalcino fino alla fine degli anni '50 avesse poco a che fare con l'eleganza del bien vivre in campagna e con i vini raffinati: «Le cantine non erano belle come quelle di oggi, i vigneti coltivati in maniera rozza. Le aziende meno popolate da persone glamour e della bella società». Poi negli anni '60 la svolta: nel '66 arriva il Doc, e da lì le prime consacrazioni, come quella del '69, quando, all'ambasciata italiana di Londra, in occasione di una cena in onore della Regina Elisabetta e del Presidente Giuseppe Saragat, fu servito Brunello Riserva Biondi Santi Vendemmia 1955. Da allora divenne chiaro che la Cenerentola dei vini si era definitivamente trasformata in principessa, un mito che ha resistito inossidabile anche alle crisi e agli scandali più recenti ed è passato dalla tavola del principe Carlo d'Inghilterra e a quella dell'imperatore del Giappone Akihito, dal calice di Papa Giovanni Paolo II - che pare lo apprezzasse più di ogni altro vino italiano – a quello di Carlo Azeglio Ciampi. E anche la Val d'Orcia si è trasformata, diventando in breve tempo un punto di riferimento per tutti coloro che gravitano attorno al mondo del vino. Non a caso è stata scelta per la seconda tappa del DiWine Award organizzato da Jaguar Land Rover Italia, in collaborazione con l'associazione italiana dei sommelier, il concorso in tre tappe che premierà tra 18 etichette di vini selezionate, quella che presenta il milgior rapporto qualità-prezzo.
Ma Montalcino ha anche aperto la strada al turismo enologico in Italia, imponendosi come elemento di attrazione turistica nel senese, e tra le mete preferite di chi ama degustare vino e visitare cantine.
Come quella del Marchesato degli Aleramici, azienda nata nel 1986, nel comune di Montalcino, presso il podere il Galampio.
Situato in località «Pian delle Vigne», l'antico casale sorge su un pendio che dalla foresta demaniale scende verso il fiume Ombrone.
In questo contesto, viene prodotto tra gli altri anche il Brunello di Montalcino, e la famiglia Fedriani apre le porte della cantina a tutti gli enoturisti e fan del loro vino.


A conferma della vocazione enoturistica della zona, il consorzio del vino Brunello di Montalcino ha lanciato anche un'applicazione - «iBrunello HD» - per iPhone ed iPad, scaricabile gratuitamente, per localizzare tutte le cantine, prenotare visite e degustazioni, ricevere informazioni utili sui produttori e il territorio e scorrere la photogallery.

Commenti