Cultura e Spettacoli

MADONNA Con il pop sadomaso seduce settantamila fan

A Roma lo show che mescola i toni della denuncia per i bimbi morti di Aids e acrobazie ginniche. Ovazioni per la «crocefissione»

Cesare G. Romana

da Roma

Intanto bisognerà distinguere tra la Madonna cantante, modesta, l’autrice, scaltra più che geniale, l’imbonitrice, inarrivabile, e la donna di palcoscenico, indiscussa. Da qui l’attesa, insaporita da polemiche, per questo show perfetto e algido, calcolato al millimetro e però - o perciò - lontano anni luce dall’afflato dionisiaco che al genere s’addice. Attesa premiata, ieri all’Olimpico, da settantamila persone in plaudente delirio, per nulla frenate dall’avarizia delle emozioni, galvanizzate semmai dalla rutilanza spettacolare e da qualche provocazione, o presunta tale: come l’accostamento di Benedetto XVI con Bush e Ahmadinejad, a corredo visivo d’una canzone. O la reclamizzatissima epifania della diva legata a una croce, corona di spine, casacca rosso sangue al ritmo squassante di Live to tell. Gli applausi? Un tornado. E’ noto: proteste anglicane, cattoliche, ortodosse, ebraiche e islamiche, e lei a spiegare d’aver voluto alludere ai bimbi africani, crocifissi dall’Aids. Nessuna dissacrazione, dunque.
Del resto il martirologio, si sa, attizza il proselitismo, e dunque la folla l’accoglie di buon grado, quest’accrocchio di erotismo, zoofilia, pacifismo, febbre del sabato sera e velleità missionarie. Ché lei sa come assemblare l’inconciliabile, le nobili cause e l’istinto brado: da quando apparve con un rosario spiovente tra le poppe opulente, e la sua leggenda deflagrò al vispo refrain di Holiday, tra il disdegno dei critici e il favore d’un pubblico voglioso di trasgressioni da bar. O da discoteca: che qui in fondo va a parare questo show ipertrofico, concettualmente epidermico quanto teatralmente imponente.
Che infatti s’intitola Confessions tour, da Confessions on a dance floor, l’ultimo mediocre cidì, discotecaro e modaiolo. Eccola dunque calare sul palco in un tripudio di luci, incapsulata in una palla ruotante, stonando impunita sul ritmo di Future lovers impastata con I feel love. La palla si apre come un fiore e lei ne esce in versione sadomaso, fustigando i ballerini proni. L’impatto è sicuro: ché quanto ci lesina in spessore, Madonna lo profonde in effetti speciali e scenicità mirabolante. Enorme il palco, con ai lati due drappi con impressi cavalli rampanti, a mitraglia le immagini vomitate dagli schermi, ventidue i ballerini che affiancano la star in un gioco coreografico serratissimo, magari più orientato alla ginnastica che alla danza, ma di certa presa.
Lei prosegue con Jacob, Jump, Erotica, La isla bonita. E sgambetta, piroetta, istrioneggia con una baldanza che, alla fine, induce al battimani. Ripercorre le tappe d’una carriera che, grazie a un insonne talento promozionale, s’avvia verso il quarto di secolo, mixando la storia - la sua - con la cronaca, quella torva dei nostri giorni. Fa sfilare in Sorry scenari di guerra, vi alterna i volti dei presidenti americano, inglese e iraniano mentre il testo esorta: «Non parlare, questa l’ho già sentita», e un cartello si chiede: «Qualcuno ascolta?». Mostra una donna avviluppata nel burqa, poi la tramuta - questa sì, che è caduta di gusto - in lady occidentale, evoca il dramma dell’Africa poi sterza verso atmosfere più ludiche: evocando rituali da lap dance, montando, con Like a virgin, in groppa a un cavallo finto, destinatario d’ambigue carezze. E reiterando sugli schermi immagini equine, per citare la caduta di sella che tempo fa la riportò sui giornali.
Ovvio che tocchi allo stile di Confessions il protagonismo d’uno show tutto campionature e cassa in quattro, impaginato come un’immane, onnivora danceteria. Che raggiunge il maggior fascino, non a caso, negli episodi più «disimpegnati», e più legati alla musica dance. Come quando, citando Saturday night fever, la diva appare con le brache amplissime di Tony Manero, ed ecco una serrata Disco Inferno.

O quando, nel finale, Hung up rivive su un riff degli Abba, e lei s’avvolge in una cappa candida, sulla quale campeggia la scritta Dancing queen: orgogliosa, ma pleonastica dichiarazione d’intenti.

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